Diabete autoimmune dell’adulto (LADA): arrivano le istruzioni per l’uso per questa forma di diabete misconosciuta.

• Pubblicato sulla rivista Diabetes il primo documento di consenso dedicato a questa forma di diabete autoimmune dell’adulto, ancora poco conosciuta e spesso scambiata per diabete di tipo 2

• Il LADA, che colpisce il 10-15% dei soggetti erroneamente diagnosticati come diabete di tipo 2, da oggi ha finalmente le sue linee di indirizzo per la diagnosi e il trattamento

• Determinante per la redazione del documento è stato l’apporto degli esperti italiani e del Progetto di ricerca NIRAD, finanziato dalla Fondazione Diabete Ricerca e dalla Società Italiana di Diabetologia e coordinato dalla professoressa Raffaella Buzzetti.

Per la maggior parte delle persone esistono solo due tipi di diabete, il tipo 1 che colpisce i giovani ed è una malattia autoimmune, e il tipo 2, molto più frequente (90-95% di tutti i tipi di diabete) che colpisce dalla mezz’età in avanti. Ma in realtà, anche se poco note ai più, esistono diverse altre varianti di questa malattia. Il 10-15% circa di soggetti con diagnosi di diabete mellito tipo 2, ad esempio, è in realtà affetto dal diabete cosiddetto ‘LADA’, un acronimo che sta per ‘diabete autoimmune dell’adulto’. “Si tratta – spiega la professoressa Raffaella Buzzetti , coordinatrice del progetto NIRAD ( Non InsulinRequiring Autoimmune Diabetes ) finanziato dalla ‘Fondazione Diabete e Ricerca’ della Società Italiana di Diabetologia (SID) e ordinario di Endocrinologia preso l’Università ‘La Sapienza’ di Roma – di una forma particolare di diabete che insorge in età adulta, ma riconosce una patogenesi autoimmune, simile al diabete tipo 1 ad insorgenza giovanile, in quanto determinato dalla distruzione delle cellule pancreatiche che producono insulina da parte del proprio sistema immunitario”.

A differenza del diabete di tipo 1 però il LADA ha una evoluzione più lenta; chi ne è affetto può arrivare alla terapia con insulina anche dopo molti anni dalla diagnosi. “Per porre diagnosi di LADA – prosegue la professoressa Buzzetti – cosa certamente rilevante in quanto il trattamento di questa forma di diabete è diverso da quello del diabete tipo 2, è necessario evidenziare la presenza degli autoanticorpi diretti verso le cellule pancreatiche che producono insulina (si fa attraverso un esame del sangue).

La caratterizzazione di questa forma di diabete è stata possibile negli ultimi anni anche grazie ai numerosi lavori scientifici pubblicati su riviste internazionali nell’ambito del progetto italiano NIRAD. Fino ad oggi non esistevano tuttavia linee guida dedicate a questa​forma di diabete ancora poco conosciuta. Una lacuna adesso colmata da una pubblicazione su Diabetes , organo ufficiale dell’ American Diabetes Association . “Un panel internazionale di esperti di diabete e metabolismo – spiega la professoressa Buzzetti, che è il primo autore del documento – ha siglato una consensus sulla terapia del LADA, pubblicata Diabetes . C’era assoluta necessità di fornire indicazioni precise circa la terapia di questa forma di diabete.

E’ molto importante porre una corretta diagnosi del tipo di diabete: in particolare, riconoscere il LADA in un soggetto precedentemente considerato affetto da diabete tipo 2, può comportare un cambiamento anche sostanziale della sua terapia che consentirà di ottenere un significativo miglioramento del controllo metabolico e di fare una corretta prevenzione delle complicanze croniche”. L’algoritmo proposto dagli autori della consensus , che si basa sulla valutazione della riserva insulinica del soggetto con diabete autoimmune, ottenibile con un semplice dosaggio su prelievo di sangue indirizza verso la terapia più appropriata.

“Attualmente – conclude la professoressa Buzzetti – sono molte le classi di farmaci a disposizione del diabetologo per la cura del diabete, ma soltanto una diagnosi precisa permette di prescrivere al paziente una terapia personalizzata. Nel caso del LADA, il trattamento prevede in una prima fase l’utilizzo di farmaci ipoglicemizzanti in grado di preservare la funzione delle cellule pancreatiche che producono insulina; sarà quindi necessario ricorrere alla terapia insulinica, il più precocemente possibile, qualora la funzione delle cellule beta pancreatiche risulti già compromessa. In questo modo sarà possibile prevenire le complicanze del diabete quali infarto, ictus, insufficienza renale”.

“ Aiutare e finanziare la ricerca in ambito diabetologico – afferma il professor Francesco Purrello , presidente della Società Italiana di Diabetologia (SID) – è una delle missioni principali della nostra società scientifica e della Fondazione Diabete Ricerca ad essa correlata, e il LADA è stato uno dei principali temi di ricerca finanziato da diversi anni. Questo ha consentito di creare una rete di centri di diabetologia sparsi nel territorio nazionale e coordinata dalla professoressa Buzzetti, che ha prodotto un enorme numero di dati clinici e scientifici. Un orgoglio per la SID avere contribuito in modo rilevante alle conoscenze attuali su questo tipo di diabete”.

Management of Latent Autoimmune Diabetes in Adults: A Consensus Statement From an International Expert Panel Raffaella Buzzetti , TiinamaijaTuomi , DidacMauricio , Massimo Pietropaolo , Zhiguang Zhou , Paolo Pozzilli , Richard David Leslie Diabetes 2020 Aug; dbi200017. https://doi.org/10.2337/dbi20-0017

Ufficio stampa Sid

Nei diabetici con Covid-19, prognosi peggiore e mortalità più elevata. Conferme da un nuovo studio italiano.

Le persone con diabete e Covid-19 hanno un rischio maggiore di una prognosi peggiore e di esito infausto, come probabile conseguenza della natura sindromica della malattia che contempla la presenza di iperglicemia, età avanzata e comorbidità, in particolare ipertensione, obesità e malattie cardiovascolari, che contribuiscono ad aumentare il rischio in questi individui. Sono le conclusioni di uno studio italiano appena pubblicato sulla rivista The Lancet Diabetes & Endocrinology.

Al momento della stesura di questa review, in tutto il mondo sono stati segnalati oltre 12 milioni di casi e oltre 550mila decessi. Tra i pazienti gravi con Covid-19 e quelli deceduti è stata rilevata un’alta prevalenza di condizioni concomitanti tra cui diabete, malattie cardiovascolari, ipertensione, obesità e broncopneumopatia cronica ostruttiva. Il tasso di mortalità è particolarmente elevato nei pazienti più anziani, nei quali le comorbidità sono comuni, in particolare il diabete di tipo2, hanno premesso gli autori dello studio.

È noto che il diabete conferisce un aumentato rischio di infezione. Precedenti studi hanno mostrato una relazione tra i livelli di emoglobina glicata e il rischio di necessitare del ricovero ospedaliero a seguito di infezioni, in particolare del tratto respiratorio. Di per sé comunque il diabete non sembra aumentare il rischio di insorgenza della malattia da Covid-19, sebbene sia più frequente nei pazienti con infezione grave.

Da numerosi report clinici internazionali è emerso che i pazienti con Covid-19 e diabete hanno una prognosi peggiore, molto probabilmente a causa dell’effetto concorrente di molteplici fattori. Nella prima fase dell’epidemia, la maggior prevalenza dell’infezione si è verificata nelle persone anziane nella gran parte delle regioni del mondo, ad eccezione della Corea del Sud.

Covid-19

La prevalenza del diabete aumenta con l’età per raggiungere un picco dopo i 65 anni, sia nella popolazione generale che nei pazienti con Covid-19, di conseguenza l’età media dei pazienti con entrambe le condizioni è più vecchia rispetto ai soggetti non diabetici. Inoltre le persone di età superiore ai 65 anni hanno maggiori probabilità di avere una durata più lunga della malattia e una maggiore prevalenza di complicanze diabetiche. Infine diabete ed età avanzata spesso sono correlati a comorbidità come malattie cardiovascolari, ipertensione e obesità.

«Abbiamo provato a verificare quali siano le tante condizioni associate al diabete, come la stessa ipoglicemia, che possono contribuire a questo maggior rischio» ha spiegato l’autore senior dello studio Stefano Del Prato, ordinario di Endocrinologia e direttore Unità operativa di Malattie metaboliche e Diabetologia dell’AOUP, intervistato da Pharmastar. «Un dato importante perché permette di definire una possibile strategia per cercare di proteggere le persone con diabete nel caso in cui dovessero contrarre la malattia virale».

«Facendo questa disamina è emersa una sorta di reciprocità tra la malattia diabetica e la malattia virale» ha aggiunto. «La condizione diabetica espone a un maggior rischio di quanto generato dalla malattia virale, ma l’esposizione al virus sembrerebbe condizionare anche un peggioramento della situazione diabetica, sia in termini di acuzie metaboliche (come la chetoacidosi diabetica e la sindrome iperosmolare iperglicemica), che come segnalazioni di diabete di nuova insorgenza nel corso della malattia virale. È un quadro complesso di cui bisogna tenere conto quando si valutano le possibilità terapeutiche in questi soggetti».

Diabete e Covid, una sfida per i clinici
Il quadro, tuttavia, è più complesso in quanto contempla fattori che diventano rilevanti nel momento in cui bisogna gestire un paziente con Covid-19 grave. In questa situazione un medico deve rendere conto non solo dello stato di salute della persona con diabete, ma deve anche bilanciare attentamente i trattamenti ipoglicemizzanti con quelli specifici per l’infezione.

Quindi, ancora una volta, la gestione del diabete nei pazienti con Covid-19 rappresenta una grande sfida clinica che richiede un approccio di squadra molto integrato, una strategia indispensabile per ridurre il più possibile il rischio di complicanze mediche e di morte.

Un’attenta valutazione dei numerosi componenti che contribuiscono alla prognosi sfavorevole nei pazienti con diabete e infezione da Covid-19 -hanno scritto gli autori- potrebbe rappresentare il modo migliore, se non l’unico, per superare la situazione attuale e consentire ai nostri sistemi sanitari di essere pronti ad affrontare eventuali sfide future in modo tempestivo ed efficace.

Infine, l’interrelazione tra diabete e infezione dovrebbe innescare ulteriori ricerche per comprendere fino a che punto i meccanismi specifici del virus, come il suo tropismo per la cellula β pancreatica, potrebbero contribuire al peggioramento del controllo glicemico e, in alcuni casi, allo sviluppo della chetoacidosi diabetica o della sindrome iperosmolare iperglicemica e, possibilmente, allo sviluppo del diabete di nuova insorgenza.

Come il virus può impattare sul diabete
Nello studio sono riportate alcune ipotesi per spiegare l’influenza del virus sul diabete. Come quella più generale legata alle condizioni di stress, che comporta un aumento degli ormoni che si oppongono all’azione dell’insulina e possono pertanto peggiorare il quadro metabolico, ha commentato Del Prato.

«Una situazione che diventa ancora più marcata nel caso del Covid-19, perché una delle caratteristiche di questa infezione è la tempesta di citochine, che può peggiorare la sensibilità insulinica e quindi rendere il soggetto ipoglicemico» ha dichiarato. «Un’altra è il tropismo, ossia la capacità del virus di poter attaccare direttamente le beta cellule, un fatto che potrebbe portare a una perdita di funzione e di secrezione di insulina, che da una parte contribuisce al peggioramento della glicemia e in altre condizioni potrebbe portare alla comparsa del diabete vero e proprio».

«Un ulteriore aspetto interessante è che questa condizione di marcata infiammazione e perdita di funzione della beta cellula potrebbe comportare la presenza di glicemia elevata al momento del ricovero nei soggetti senza diagnosi di diabete. Alcune analisi sia della letteratura che nostre sembrerebbero suggerire che la comparsa di iperglicemia in questi soggetti possa rappresentare un fattore prognostico ancora più negativo dello stesso diabete» ha continuato. «Quindi questa reciprocità d’azione di alterazione del metabolismo glucidico, o la presenza stessa del diabete, e di impatto della malattia virale, in modo sia diretto (azione sulla beta cellula) che indiretto (stress infiammatorio) porta a prendere in considerazione un segnale prognostico importante sia in caso di diabete ma anche di iperglicemia in un soggetto non diabetico».

Gestione della terapia ipoglicemizzante
Come suggerito dal prof. Del Prato, per i diabetici che possono essere esposti alla malattia virale l’unica raccomandazione è continuare con la propria terapia, intensificare il monitoraggio della glicemia e, in caso di sintomi che potrebbero essere correlati a una possibile infezione virale, contattare immediatamente il proprio medico.

Nella persona che risulta invece affetta da Covid-19 può presentarsi una condizione non severa oppure severa. Nel primo caso può essere continuata la terapia in atto garantendo una regolare nutrizione, un’abbondante idratazione e un’intensificazione del controllo glicemico in modo da intervenire prontamente.

Tenendo presente i fattori che potrebbero essere peggiorativi nei riguardi dei farmaci utilizzati. Ad esempio in un paziente con insufficiente idratazione l’uso di farmaci che potrebbero aumentare la diuresi, come gli SGLT2 inibitori, potrebbe essere considerato con maggiore attenzione, così come in una persona inappetente un agonista del GLP-1 potrebbe determinare uno stato di intolleranza gastrointestinale e peggiorare questa situazione.

«In caso di situazione severa, la raccomandazione è di passare quanto prima al trattamento insulinico, mantenere i livelli glicemici compresi fra i 120 e 200 mg/dl, evitare accuratamente l’ipoglicemia sospendendo farmaci come le sulfoniluree in associazione con la clorochina e fare attenzione a tutti i farmaci per via orale che possono essere problematici nel loro uso» ha concluso.

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