Diabete e volo. Da sensori di monitoraggio della glicemia una nuova chance per migliorare le direttive sull’accesso alle professioni del volo.

Molte persone con diabete, in particolare insulino-trattato, non potranno mai realizzare il sogno di intraprendere una professione di volo o rinnovare la licenza.

Ad oggi, lavori come pilota di aereo, controllore di volo, hostess e steward ma anche semplicemente il volo sportivo sono vietati o fortemente limitati alle persone con diabete.

Gli esperti, in un documento di consenso appena pubblicato, analizzano i sistemi di monitoraggio della glicemia con sensori, ne confermano la superiorità rispetto ai sistemi tradizionali e concordano sulla necessità di rivedere e armonizzare i criteri per l’accesso alle professioni del volo.

– Oggi il diabete in trattamento insulinico non permette di accedere alle professioni di volo oppure può decretare la fine di una carriera di pilota già avviata. Ma, come afferma Felice Strollo, Vicepresidente dell’Associazione Italiana di Medicina Aeronautica e Spaziale (AIMAS) : “ Le persone con diabete ben compensato possono pilotare un aereo senza mettere a rischio la propria e altrui incolumità. Gli strumenti per l’automonitoraggio della glicemia ‘indossabili’, sensori sempre più piccoli e performanti, potrebbero consentire di riscrivere le regole per l’accesso delle persone con diabete alle professioni del volo .”

Sono queste le conclusioni del tavolo tecnico istituito dall’AIMAS con gli esperti dell’Associazione Medici diabetologi (AMD) e della Società Italiana di Diabetologia (SID) insieme alla sezione aeromedica dell’ENAC, l’Ente nazionale per l’Aviazione Civile, oltre all’Associazione Nazionale Italiana Atleti con Diabete (ANIAD). Il documento di consenso, pubblicato su Diabetes Research and Clinical Practice , la prestigiosa rivista dell’International Diabetes Federation, ha messo a fuoco gli aspetti regolatori, le principali criticità nell’accesso delle persone con diabete alle professioni del volo e le buone pratiche a livello internazionale e ha analizzato i vantaggi delle più recenti innovazioni tecnologiche nel monitoraggio glicemico.

“Il tavolo tecnico ha valutato 72 studi scientifici pubblicati tra il 1946 e il 2020 – dichiara Sandro Gentile dell’AMD – Gli esperti concordano sulla superiorità dei sistemi di monitoraggio della glicemia con sensori rispetto all’automonitoraggio mediante puntura del dito. Si tratta di device piccoli e sottili che, applicati alla pelle, consentono di rilevare in continuo il livello del glucosio. E questo 24 ore al giorno e 7 giorni alla settimana avvisando gli utenti quando i livelli diventano troppo alti o troppo bassi.”

Oggi sono disponibili due tipi di sistemi di monitoraggio continuo del glucosio: il CGM in tempo reale (real-time CGM, rtCGM) e il CGM a rilevazione intermittente detto anche monitoraggio ‘FLASH’ del glucosio (flash glucose monitoring, FGM) . Entrambi i sistemi forniscono informazioni riguardo ai livelli di glucosio attuali e pregressi, indicano l’andamento (la tendenza) e la velocità di variazione del livello di glucosio, fornendo così informazioni preziose per prevenire pericolosi sbalzi di glicemia.

“Sulla base delle evidenze scientifiche che abbiamo analizzato – dichiara Antonio Bellia della SID – esiste un ampio consenso sul fatto che questi dispositivi migliorano il compenso glicemico, riducono la durata di eventuali eventi ipo o iperglicemici e aumentano il tempo trascorso nell’intervallo stabilito (time in range). Si tratta di risultati molto importanti visto che la riduzione degli episodi di ipoglicemia e il controllo metabolico sono aspetti fondamentali per i piloti e gli equipaggi.”

Attualmente l’Organizzazione internazionale dell’aviazione civile (ICAO) non permette alle persone con diabete insulino-trattate di ottenere il brevetto di volo commerciale, le autorità del Canada (TC) e degli Stati Uniti (FAA) prevedono una certificazione medica speciale per le licenze di prima, seconda e terza classe, l’EASA (ente regolatore europeo) nega sia l’accesso alla professione che il rinnovo della licenza per i piloti che hanno sviluppato un diabete insulino trattato. Il motivo è evidente: eventuali crisi ipoglicemiche potrebbero mettere a rischio la sicurezza di piloti e passeggeri.

Per i piloti con diabete in trattamento insulinico volare in sicurezza è possibile, ma solo attraverso un frequente monitoraggio glicemico, come stanno dimostrando diverse esperienze internazionali. Ad esempio, nel Regno Unito i piloti con diabete insulino-trattato possono volare seguendo uno stringente protocollo di monitoraggio. Nelle oltre 22 mila ore di volo effettuate dai 49 piloti inglesi con diabete che hanno seguito il protocollo, sono stati riportati valori glicemici anomali solo per lo 0,12% del tempo trascorso in volo, episodi che non hanno comportato per il pilota alcuna riduzione della capacità fisica. Ma il monitoraggio glicemico condotto con i metodi tradizionali richiede un uso frequente dei glucometri e la necessità di pungersi ripetutamente (anche 6-8 volte al giorno) e, per i piloti, è fondamentale rimanere concentrati durante il volo e non essere distratti da simili incombenze. I sistemi di monitoraggio del glucosio con sensori forniscono una soluzione al problema garantendo un flusso continuo di misurazioni ed eliminando al tempo stesso la necessità delle fastidiose punture sui polpastrelli per visualizzare i livelli del glucosio.

“Nelle persone con diabete insulino trattato – dichiara Antonello Furia, Responsabile della Sezione Aeromedica ENAC – queste tecnologie potrebbero migliorare l’efficienza lavorativa del personale di volo e di altre professioni critiche del mondo dell’aviazione. I tempi sono maturi affinché le autorità regolatorie europee e internazionali rivedano e armonizzino adeguatamente i requisiti medici per la certificazione e l’accesso dei diabetici alle professioni del volo. Gli imminenti voli dell’aviazione commerciale nello spazio suborbitale devono rappresentare fin da ora un’ulteriore sfida al fine di permettere in futuro ai piloti ed ai passeggeri diabetici insulino trattati di poter volare in sicurezza.”

Molto soddisfatto anche Marcello Grussu, Presidente dell’ANIAD , che ha dichiarato: “Siamo finalmente davanti ad una possibile soluzione di un problema che andiamo sollevando da quasi 10 anni, e che, laddove sarà concretamente resa possibile, determinerà un importante passo avanti nell’ottica di una piena e completa integrazione sociale delle persone con diabete. Un lavoro costante e coerente conduce sempre lontano”.

“L’innovazione tecnologica ha il potere di cambiare la vita. In Abbott siamo costantemente alla ricerca delle soluzioni più innovative e rivoluzionarie e le rendiamo accessibili a quante più persone possibili. – dichiara Massimiliano Bindi, Amministratore Delegato di Abbott Diabetes Care Italia – Sosteniamo pienamente questa iniziativa e gli sforzi compiuti dagli esperti del tavolo tecnico per creare maggiori possibilità per le persone con diabete.”

La celiachia può essere innescata da infezioni e alterazioni del microbiota?

Il possibile ruolo di infezioni virali o alterazioni del microbiota intestinale nell’insorgenza della malattia celiaca, in soggetti geneticamente predisposti, è stato ipotizzato da tempo. Una nuova ricerca fa il punto sul rapporto tra microbi e celiachia in base alle conoscenze attuali, derivanti da studi osservazionali che coinvolgono i pazienti celiaci.

I ricercatori hanno valutato 135 studi privilegiando quelli prospettici, che hanno potuto seguire l’evoluzione della malattia in un arco di tempo sufficientemente lungo e gli studi di coorte in cui erano disponibili, oltre ai sintomi riferiti, anche test diagnostici. Il quadro generale che emerge è quello di una possibile connessione tra agenti virali e batterici e lo sviluppo della malattia celiachia, un rapporto che però va studiato con più accuratezza per stabilire se siano le infezioni a innescare la sequenza che porta alla malattia o se sia la celiachia a rendere i soggetti più suscettibili alle infezioni.

Infezioni in gravidanza e nei primi anni di vita.

Le indagini condotte sui registri sanitari di diversi paesi europei (Svezia, Norvegia, Germania) mostrano un’incidenza più alta di celiachia tra i bambini che hanno avuto infezioni neonatali (gastrointestinali o respiratorie) annotate sui registri o segnalate dai genitori, ed anche una frequenza più alta della media di infezioni neonatali tra i soggetti celiaci.

Le infezioni materne durante la gravidanza non hanno invece mostrato una chiara associazione con il rischio di celiachia del bambino.

È possibile che una celiachia non diagnosticata renda più suscettibili a infezioni gastrointestinali, tuttavia, fanno notare gli autori di questa ricerca, la sovrapposizione dei sintomi tra celiachia e infezione gastrointestinale rende difficile stabilire se ci sia una relazione causale.

Fattori microbici specifici

Gli autori di questa nuova ricerca passano in rassegna diversi studi in cui direttamente o indirettamente sono stati raccolti dati sulle possibili associazioni tra alcuni virus o batteri e la celiachia.

Gli studi non sono facilmente comparabili, per quella che gli autori definiscono “una grande diversità nella metodologia e nel design.”

In estrema sintesi sono state riscontrate associazioni tra l’infezione da rotavirus e lo sviluppo della malattia celiaca. Inoltre, è stato verificato che la vaccinazione contro il rotavirus può ridurre il rischio di celiachia. Ci sono poi indizi per altri microbi tra cui Helicobacter pylori (quattro studi su 16), adenovirus (due studi su nove) ed enterovirus (due studi su sei).

Alterazioni del microbiota

Numerosi studi hanno cercato una possibile influenza delle alterazioni del microbiota intestinale sullo sviluppo della malattia celiaca. Tuttavia, la maggior parte di queste ricerche sono state condotte in modo che non è possibile stabilire se l’alterazione del microbiota sia all’origine della celiachia oppure l’inverso.

Sono stati identificati solo due studi caso-controllo prospettici su neonati con predisposizione genetica alla celiachia dei quali sono stati esaminati campioni di feci prima che si sviluppasse la malattia. È stata riscontrata una diversità nella flora batterica a 4 a 6 mesi rispetto ai controlli sani. Un altro studio di coorte non ha trovato associazioni significative tra la composizione del microbiota a 9 e 12 mesi e celiachia a 4 anni. Si tratta comunque di studi con pochi partecipanti (rispettivamente 10 e 9 casi) e con conclusioni divergenti.

Tra le difficoltà che ci sono nello studio delle differenze del microbiota di soggetti sani e celiaci c’è il fatto che le modificazioni della dieta influiscono sulla composizione del microbiota e le eventuali differenze tra celiaci e controlli sani possono essere spiegate dalla dieta invece che dalla malattia stessa.

Il possibile ruolo degli antibiotici

Gli antibiotici sono uno dei maggiori fattori di alterazione della composizione del microbiota intestinale. Gli studi sull’uso degli antibiotici in gravidanza e nella prima infanzia come possibile fattore di rischio per la celiachia hanno dato risultati contrastanti. Come spiegano gli autori la presenza di un’infezione che richiede l’uso di antibiotici può essere un fattore confondente, rendendo difficile stabilire se l’aumento del rischio di celiachia sia da attribuire agli antibiotici o all’infezione. Inoltre se la celiachia non diagnosticata è un fattore favorente le infezioni sarebbe proprio quest’ultima a causare l’uso di antibiotici.

Fonte

Diabete in Italia: trend in continua crescita da Nord a Sud

Negli ultimi venti anni, le persone con diabete in Italia aumentate in tutte le regioni, passando dal 3,8 per cento della popolazione al 5,8 per cento su scala nazionale; i livelli più elevati osservati ancora in Calabria, Sicilia e Campania.

La tendenza fotografata nella quattordicesima edizione dell’Italian Diabetes Barometer Report, realizzato da Italian Barometer Diabetes Observatory (IBDO) Foundation, in collaborazione con Istat e Coresearch.

Il diabete è in continua crescita in tutti i paesi europei. Fra il 2008 e il 2014 il numero di cittadini europei con diabete è cresciuto di 4,6 milioni, ovvero del 28 per cento in sei anni, con una crescita 24 volte maggiore rispetto a quella della popolazione nello stesso periodo.  Questa crescita è evidente anche In Italia, dove Istat stima che dal 2000 al 2019 le persone con diabete siano aumentate di circa il 60 per cento, passando dal 3,8 per cento della popolazione al 5,8 per cento (ovvero oltre 3 milioni e mezzo di persone). Lo documenta la quattordicesima edizione dell’Italian Diabetes Barometer Report, che verrà presentata stasera durante il webinar patrocinato dal Ministero della Salute e dall’Intergruppo Parlamentare Obesità e Diabete “Il Diabete una malattia silente: l’impatto In Italia e nelle Regioni”.

Questo incremento è spiegabile con una pluralità di motivi, tra cui l’invecchiamento della popolazione, la sedentarietà, l’obesità e in generale la scarsa attenzione a stili di vita salutari hanno un notevole impatto. Anche i continui progressi nel contrasto alle malattie croniche, quali le migliorate capacità diagnostiche accompagnate a una diagnosi in età più giovane o la capacità del sistema di cura di allungare la sopravvivenza delle persone con diabete e relative complicanze contribuiscono a questa crescita.

“L’aumento della popolazione con diabete si riscontra in tutte le regioni d’Italia, ma gli incrementi non sono stati omogenei su tutto il territorio. In particolare, rispetto al 2000 le prevalenze standardizzate aumentano maggiormente nelle regioni del Nord e del Centro (escluso il Lazio), che partivano da livelli più bassi. Per il Mezzogiorno fa eccezione la Sicilia che passa dal 4,4 per cento nel 2000 al 6,9 per cento nel 2019. Le differenze regionali si mantengono particolarmente elevate nella popolazione anziana, oltre 15 punti percentuali la distanza tra Bolzano e la Calabria, dove la quota di anziani con diabete supera il 25 percento e il tasso di mortalità per diabete è superiore alla media nazionale”, dice Roberta CrialesiDirigente Servizio Sistema integrato salute, assistenza, previdenza e giustizia, Istat.

Per quanto riguarda la mortalità, si conferma la tendenza a crescere passando dalle aree settentrionali a quelle meridionali del paese, con una certa variabilità in base alle province della stessa regione. Per esempio, in Piemonte i decessi per diabete rappresentano il 2,9 per cento dei decessi totali, una percentuale inferiore alla media nazionale che si attesta al 3,5 per cento, ma nella provincia di Vercelli il dato sale al 4,1 per cento, e in quella di Torino scende al 2,5. Analogamente, in Puglia, la cui media regionale è 4,6 per cento, si passa dal 5,6 di Taranto al 3,6 di Lecce.

“Questi dati indicano come ci sia ancora troppa disparità nell’accesso alle cure e ai trattamenti tra le varie Regioni italiane, ma anche tra le singole province di una stessa regione, finendo per fornire un quadro non accettabile all’interno di un Servizio Sanitario nazionale universalistico”, commenta Domenico Cucinotta, Coordinatore e Editor dell’Italian Diabetes Barometer Report. “Siamo convinti che la raccolta e la condivisione di informazioni, alla base del confronto e dei processi decisionali, possano contribuire a ridurre il peso clinico, sociale ed economico del diabete. Questo report prodotto dall’Italian Barometer Diabetes Observatory (IBDO) Foundation in collaborazione con ISTAT e CORESEARCH illustra una serie di dati e di passaggi chiave che possono contribuire ad affrontare con successo la crescita tumultuosa del diabete tipo 2, anche nel contesto dell’attuale gravissima crisi sanitaria globale e che, al contempo, possono avere un impatto di vasta portata sullo sviluppo complessivo delle malattie croniche”, aggiunge Renato Lauro, Presidente IBDO Foundation.

L’aumento della popolazione con diabete negli ultimi anni ha comportato ovviamente un aumento di spesa per il Sistema Sanitario, ma non per quanto riguarda il costo medio pro-capite. Infatti, secondo i dati dell’osservatorio ARNO diabete, il costo medio annuo nel 2018 (escludendo i costi per dispositivi, come strisce, siringhe, aghi, voce non presente nel 2010) ammonta a 2.735 euro, praticamente uguale a quello del 2010. Analizzando le componenti dei costi, si evidenzia un lieve aumento di quelli per la terapia del diabete (+78 euro) e per le prestazioni ambulatoriali (+94 euro) e un aumento più marcato dei costi per altri farmaci (+224 euro), mentre si sono ridotti in maniera importante i costi per le ospedalizzazioni (-417 euro). “Questi dati suggeriscono come un investimento nell’appropriatezza terapeutica e nell’assistenza specialistica ambulatoriale possano rappresentare la chiave di volta per ridurre gli ingenti costi delle ospedalizzazioni, a loro volta indice di complicanze del diabete. Solo il 9 per cento della spesa riguarda i farmaci antidiabete; il 31 per cento è legato alle terapie per le complicanze e le patologie concomitanti, mentre oltre il 40 per cento è relativo al ricovero ospedaliero”, spiega Antonio Nicolucci, Direttore CORESEARCH.                

Secondo quanto rilevato da uno studio condotto nel 2011 dalla London School of Economics, il costo medio per paziente in Italia risulta marcatamente più basso rispetto a Francia, Gran Bretagna e Germania, dove l’assistenza diabetologica è demandata principalmente alla medicina generale, contrariamente a quanto accade in Italia, dove è invece presente una rete diffusa di strutture specialistiche, in grado di fornire assistenza a oltre il 50 per cento dei pazienti con diabete nel nostro Paese.

“Il modello italiano di cura del diabete è uno dei più efficienti e grandi progressi sono stati fatti negli ultimi anni nella lotta a questa malattia cronica, ma molto ancora si può fare. Per esempio, bisognerebbe implementare i Percorsi Diagnostico Terapeutici Assistenziali (PDTA) sul diabete in modo che risultino semplici, condivisi ed efficaci, e che, soprattutto, facilitino il superamento delle barriere alla intensificazione terapeutica e favoriscano l’interazione della medicina del territorio con la rete specialistica diabetologica, per la quale l’Italia rappresenta un modello a livello internazionale per la presa in carico della persona con diabete”, dice Andrea LenziPresidente di Health City Institute e del Comitato per la biosicurezza e le biotecnologie della Presidenza del consiglio dei ministri.

“In questo anno segnato dalla pandemia è risultato ancora più evidente quanto sia importante avere accesso a dati confrontabili, consolidati e corretti per spiegare fenomeni complessi, in maniera tale da poter prendere decisioni conseguenti. Per questo motivo, l’Intergruppo parlamentare “Obesità e Diabete”, costituito in seno alla XVIII Legislatura quale spazio di dialogo e confronto parlamentare permanente e bipartisan sui temi dell’Obesità e del Diabete, sollecitando le Istituzioni governative a prendersi carico di questa malattia in maniera uniforme ed equa su tutto il territorio nazionale, saluta sempre con grande interesse documenti e analisi come quelle dell’IBDO Report”, afferma Daniela Sbrollini, Co-Presidente Intergruppo parlamentare Obesità e Diabete.

“Dall’analisi effettuata dall’Istat e dell’Istituto Superiore di Sanità è emerso che nella prima fase della pandemia Covid-19, il 16 per cento dei casi di decessi di persone risultate positive riguardava persone con diabete. Per questo motivo, siamo molto soddisfatti di aver avuto un riscontro positivo dal Ministero della Salute, che ha inserito, nel piano vaccinale approvato dalla Conferenza Stato-Regioni lo scorso 9 febbraio, le persone con diabete e obesità, fragili e vulnerabili, tra i gruppi di cittadini da considerare prioritari per la vaccinazione contro il Sars-Cov-2, come richiesto dalle società scientifiche e dal mondo diabetologico”, aggiunge Roberto Pella, Co-Presidente Intergruppo parlamentare Obesità e Diabete.

“Il diabete è una malattia dal quadro morboso complesso, ed è riportato come causa iniziale in circa 23 mila decessi, ma è presente tra le malattie che hanno un ruolo nel determinare il decesso (concausa) in un numero di casi circa 4 volte più elevato (oltre 80 mila decessi). Già prima della diffusione del virus SARS-CoV-2, il diabete aveva un’associazione significativa anche con le malattie infettive e parassitarie: tra coloro che presentano menzione di diabete si rilevava infatti un eccesso del 10 per cento dei decessi”, spiega Gian Carlo Blangiardo, Presidente dell’Istat.

“L’organizzazione sanitaria e i decisori di politiche sanitarie non possono prescindere dalle informazioni epidemiologiche che a livello nazionale derivano da numerose fonti coordinate da istituzioni e società scientifiche, che forniscono aggiornamenti sullo stato attuale di numerosi aspetti correlati al diabete, come il numero di persone affette ma anche la loro qualità di vita, la gestione clinica, l’accesso alle strutture sanitarie, ai dispositivi medici, alle cure domiciliari, alle terapie”, conclude Silvio Brusaferro, Presidente Istituto Superiore di Sanità.

Ufficio stampa IBDO Foundation:
HealthCom Consulting

Diabete e vaccinazione anti-Covid: ecco le ragioni di una scelta necessaria e salva-vita.

Le persone con diabete sono tra le categorie a maggior rischio di esito infausto in caso di infezione da nuovo coronavirus, come dimostrano anche i risultati degli ultimissimi studi, uno inglese e uno francese, appena pubblicati sulla rivista Diabetologia. Il vaccino anti-COVID è dunque per loro un’arma fondamentale. I diabetologi esortano le persone con diabete a vaccinarsi senza indugio

Il COVID è un nemico importante per le persone con diabete. Per questo la Società Italiana di Diabetologia, insieme all’Associazione Medici Diabetologi e alla Società Italiana di Endocrinologia si sono fatte promotrici della richiesta di rendere prioritaria la vaccinazione anti-COVID per le persone con diabete. A ulteriore conferma di quanto il vaccino sia fondamentale per la popolazione diabetica, arrivano i risultati aggiornati dello studio CORONADO, pubblicati oggi su Diabetologia(la rivista della EuropeanAssociation for the Study of Diabetes, EASD) dai professoriBertrand CarioueSamyHadjadj, dell’Università di Nantes (Francia). I dati pubblicati a maggio evidenziavano che il 10% delle persone con diabete e COVID moriva entro la prima settimana di ricovero. La nuova analisi, effettuata su 2.796 partecipanti (arruolati presso 68 centri ospedalieri francesi), evidenzia che un paziente su 5, tra i diabetici ricoverati per COVID, muore entro 28 giorni dal ricovero. Una glicemia elevata al momento del ricovero si associa ad un aumentato rischio di morte.

“La pandemia di Covid-19 – afferma il professor Agostino Consoli, presidente della Società Italiana di Diabetologia (SID) –continua a mietere vittime e le vittime sono certamente molto più numerose tra le persone già affette da altre patologie. Tra queste, purtroppo, vanno sicuramente incluse le persone con diabete. Questo traspare già dai dati dell’Istituto Superiore di Sanità, secondo i quali il diabete mellito è presente nel 30% dei pazienti deceduti per COVID-19, una percentuale significativamente superiore rispetto alla prevalenza della malattia diabetica nella popolazione generale (In Italia, il 6,7 %). E recentissimi studi internazionali non fanno che confermare questo dato drammatico. Un lavoro inglese del dottor Andrew McGovern dell’Università di Exeter, appena pubblicato online su Diabetologia, dimostra che tra i soggetti affetti da COVID -19, il rischio di morte in un individuo di 50 anni con diabete è pari al rischio di morte di un soggetto di 66 anni senza diabete. Lo studio osservazionale francese CORONADO pubblicato oggi su Diabetologia riporta che su una coorte di pazienti diabetici ospedalizzati per Covid-19 ben 1 su 5 va incontro al decesso durante le prime 4 settimane di ricovero. Sono dati drammatici, che sottolineano ancora volta quanto sia fondamentale ed irrinunciabile, per tutti, ma in particolare per le persone con il diabete, prevenire il contagio e proteggersi con il vaccino”.

Al momento le uniche azioni efficaci per la protezione control’infezione da SARS Cov-2 sono il distanziamento sociale e la profilassi vaccinale. “Tutti i dati ad oggi disponibili – conclude Consoli – dimostrano che anche nelle persone con diabete la vaccinazione anti-SARS Cov 2 è efficace e sicura. E’ quindi necessarioche le persone affette da questa condizione si rendano conto di quanto sia fondamentale la protezione offerta dal vaccino e corrano a vaccinarsi appena questo sarà possibile nelle loro sedi. Questo sempre continuando a rispettare scrupolosamente nei comportamenti le norme di sicurezza generali necessarie per limitare la trasmissione del virus”.

Ufficio Stampa SID