FAND SI RAFFORZA NELLA TUTELA DEI DIRITTI DI GIOVANI E ADULTI CON DIABETE.

FAND-Associazione italiana diabetici accresce la propria forza di rappresentanza, con l’ingresso nella compagine associativa di AID-Associazione italiana per la difesa degli interessi dei diabetici e FDG-Federazione Nazionale Diabete Giovanile.

AID-Associazione italiana per la difesa degli interessi dei diabetici e FDG-Federazione Nazionale Diabete Giovanile ODV-ETS, due storiche sigle del terzo settore impegnate nella tutela delle persone con diabete, aderiscono a FAND-Associazione italiana diabetici ODV, organizzazione che già raccoglie oltre 120 associazioni sul territorio nazionale.

Fondata nel 1982 da Roberto Lombardi, considerato il padre della Legge 115/87 alla base del sistema italiano di prevenzione, cura e assistenza al diabete – ed eretta a Ente morale nel 1993 – FAND rappresenta e offre tutela sanitaria, morale, assistenziale, giuridica e sociale ai cittadini con diabete.

«Sin dalla sua nascita la nostra organizzazione ha ottenuto importanti risultati per le persone con diabete in Italia – spiega Emilio Augusto Benini, Presidente FAND -. Le norme della legge che tutela i diritti dei diabetici costituiscono una conquista civile e giuridica che ci è invidiata in tutto il mondo, come furono conquiste fondamentali il diritto per i bambini diabetici, figli di dipendenti dello Stato, a frequentare le colonie estive o l’esenzione dal ticket per i farmaci e i presìdi diagnostico-terapeutici o lo è la recentissima sentenza della Corte di Appello di Genova, destinata a fare giurisprudenza, in favore di una giovane diabetica cui era stata preclusa in maniera discriminatoria la carriera di capostazione. La nostra forza è sempre stata l’unità e la decisione di associazioni importanti come AID e FDG di aderire a FAND è, da questo punto di vista, paradigmatica».

«AID fu costituita, per volontà dei suoi padri fondatori, pazienti e loro diabetologi, nel 1952 allo scopo di tutelare e difendere i sacrosanti diritti degli stessi negli ambiti del sociale della sanità e del lavoro. Per molti anni abbiamo condiviso con FAND percorsi comuni, come anche il riconoscimento a Ente morale. Oggi le nostre strade si uniscono, per rafforzare l’impegno nella difesa degli interessi dei malati di diabete», dichiara Raffele Scalpone, Presidente AID.

Analoga motivazione è espressa da Giuseppe Boriello, Presidente FDG: «Dopo oltre 30 anni di continua e fraterna collaborazione e di percorsi condivisi a favore dei diabetici italiani di ogni età, l’adesione di FDG a FAND, già avviata dal compianto Antonio Cabras, è lo sbocco logico».

Partecipazione al corso della conta dei carboidrati di una nostra delegazione.

Si è concluso da poco il corso “io, persona che conta…“, un corso di formazione rivolto alle persone con Diabete di tipo 1, provenienti da tutte le parti d’Italia; anche noi, Associazione Fand Chioggia abbiamo voluto partecipare in maniera attiva a questo corso di formazione, importantissimo per il paziente affetto da Diabete.

È importante sottolineare quanto la nostra associazione abbia messo a disposizione in questi giorni: a cominciare dalle esenzioni a noi proposte per il trasporto e l’alloggio, che ci hanno permesso di vivere in continua sicurezza e serenità, all’interno della struttura nel centro congressi di Perugia.

Il corso prevedeva sia una formazione individuale, in quanto ognuno di noi dovrebbe saper gestire la propria malattia in maniera indipendente e autonoma; sia una formazione e un confronto all’interno di un gruppo di lavoro con esercizi ben strutturati.

Il metodo di lavoro si è concentrato soprattutto con un approccio teorico, pratico e operativo, per dare modo alle varie persone di non assimilare le varie nozioni, non solo a livello teorico, ma anche pratico, potendosi mettere in gioco nelle varie situazioni e poter essere d’esempio per gli altri.

È importante, nella vita di noi diabetici, avere una corretta alimentazione, formata efficacemente da una buona terapia nutrizionale, pertanto è importante sapere come strutturare una giusta dieta efficace alla terapia insulinica. In questi tre giorni di formazione, questa è stata solo la base solida per permettere la comprensione della “conta dei carboidrati”.

La conta dei carboidrati (CHO) è uno dei vari approcci utilizzati per la terapia medica nutrizionale del diabete nelle persone che hanno un trattamento insulinico.

Consiste nello sviluppare la capacità di conteggiare il quantitativo in grammi dei carboidrati consumati, in modo da poterne controllare la quantità assunta, e di poter quindi adattare la terapia insulinica alla quota di carboidrati che si vuole consumare ai pasti.

Molto spesso le persone con diabete non vengono sensibilizzate e formate abbastanza da poter proporre una terapia alimentare basata sulla conta dei carboidrati, questo perchè molto spesso il concetto “spaventa”. Molto spesso a questi metodi si associa un sovraccarico di lavoro, da eseguire e tenere a mente, soprattutto. Molto spesso si pensa a una sorta di “compiti per casa”, quindi un lavoro che spesso e volentieri si associa ad uno studio, ad una costante verifica e analisi di ciò che succede alla nostra glicemia, conoscenza su cosa potrebbe o non potrebbe influenzare la nostra curva glicemica, e infine una comprensione che renda concreto l’operare attraverso questo metodo terapico.

Bisogna pensare, però, a quali benefici potrebbe comportare l’utilizzo della terapia della conta dei cho, e cioè, attraverso l’attività svolta, che tutto ciò- potrebbe rendere la dieta alimentare più flessibile e renderci consapevoli di ciò che influenza in maniera determinante la nostra glicemia.

Il corso si è presentato ben strutturato, rispettando e dando la precedenza alla nozioni di base, come saper riconoscere gli alimenti contenenti i carboidrati, e andando piano piano verso quella che é la consapevolezza nel riconoscere quanti cho sono presenti negli alimenti della quotidianità. Molto importante sono stati i metodi di pesatura degli alimenti, necessari quando ci potremmo trovare un una situazione nuova ed estranea, lontani da casa, e non abbiamo a disposizione una bilancia, fondamentale per una corretta conta. Non meno importante è stata la lezione sull’utilizzo delle nuove piattaforme online e applicazioni che concernano in un calcolo molto più rapido è gestibile di quelli che sono gli alimenti che ci si presentano a tavola.

Insomma, un corso che ha avuto uno sguardo a 360°, indispensabile per il diabete che vive oggi, con la digitalizzazione e con le nuove terapie alimentari.

È doveroso ringraziare FAND Nazionale, in particolar modo la nostra DIABETICO GUIDA e vice presidentessa Fand Nazionale, Manuela Bertaggia, organizzatrice del I corso per la conta dei carboidrati assieme al suo gruppo di lavoro composto di gente preparata e con grande passione.

Alberto Bonivento

Diabete e vaccini: un binomio vincente.

E non solo contro il Covid, ma anche contro influenza, pneumococco, meningococco e tutte le malattie infettive.

Le malattie infettive sono un importante tallone d’Achille per le persone con diabete; non solo sono più suscettibili, ma sviluppano spesso forme di infezione più gravi e, nel caso di quelle batteriche (polmoniti, infezioni delle vie urinarie, ecc), spesso sono gravate anche da resistenza alla terapia antibiotica. Per questo i vaccini, che siano anti-Covid-19 o anti-influenzali, rappresentano per i diabetici una strategia di prevenzione particolarmente raccomandata. “Il paziente con diabete – ricorda il professor Agostino Consoli , presidente della SID – è da una parte più esposto al contagio di alcune patologie infettive, ma soprattutto è più esposto alle complicanze. La persona con diabete che contrae l’infezione da Sars CoV-2 ha infatti un rischio doppio di andare in ospedale e di essere ricoverato in rianimazione. Quindi vaccino per tutti! Soprattutto per le persone con diabete, ma ovviamente anche per il resto della popolazione. E per le persone con diabete ricordiamo anche di fare i vaccini contro l’influenza, contro lo pneumococco, il meningococco, insomma contro tutte quelle patologie infettive prevenibili che sono più pericolose nella popolazione con diabete.”

“ Chi ha il diabete – afferma il Professor Enzo Bonora , Università di Verona – deve evitare assolutamente le infezioni e il modo migliore per prevenirle è vaccinarsi. Le persone con diabete sono particolarmente fragili nei confronti di tutte le infezioni, comprese quelle da SARS CoV-2. Quando vanno incontro al Covid-19, più facilmente fanno un’infezione grave che le porta al ricovero e anche alla morte, con maggior probabilità rispetto alla popolazione generale. Questa cosa non va nascosta perché le persone devono essere consapevoli del fatto che devono proteggersi. Non devono fare affidamento su cure che ancora non ci sono e forse non ci saranno mai. È molto meglio prevenire una malattia, che non farsela venire in forma grave e poi magari cercare di curarla. Perché a volte col Covid-19 la cura non funziona. E quelli che pensano di valutare se fare il richiamo (la terza dose), in funzione della loro risposta anticorpale, sbagliano. Intanto perché se 45 milioni di italiani volessero fare il test sierologico prima del vaccino il sistema non reggerebbe, ma anche perché non è detto che chi ha tanti anticorpi sia più protetto di chi ne ha meno. Quindi non ha senso fare questi esami. Ha senso invece aderire alla campagna vaccinale, facendo i vaccini proposti. Le persone con diabete che dovrebbero fare ogni anno il vaccino contro l’influenza e devono fare il richiamo contro il SARS CoV-2, che uccide con molta più frequenza di quanto non faccia l’influenza. La vaccinazione antinfluenzale, analogamente alle altre offerte gratuitamente dal Ssn, in caso di diabete, dovrebbe essere fatta a tutte le età, anche a 30 o a 40 anni, indipendentemente dalla durata del diabete e dalla presenza o meno di complicanze; perché l’influenza predispone il diabetico a varie complicanze, quali la polmonite batterica”.

“ La maggior suscettibilità alle infezioni delle persone con diabete (sia tipo 1 che 2) – spiega la dottoressa Valeria Sordi , Diabetes Research Institute , Ospedale Raffaele di Milano e componente del Comitato Didattico della Società Italiana di Diabetologia – è legata all’iperglicemia. Il Piano Nazionale di Prevenzione Vaccinale (2017-19) prevede una serie di vaccinazioni raccomandate e gratuite per le persone con diabete. Ma il passaggio dal ‘frigo al deltoide’ non sempre avviene. Anzi. Nel caso dell’influenza, a vaccinarsi è meno del 30% delle persone con diabete tra i 18 e i 64, mentre l’obiettivo sarebbe arrivare al 75%. Da uno studio che abbiamo condotto al San Raffaele è emerso inoltre che oltre il 60% delle persone con diabete di tipo 1 non è al corrente di questa possibilità o non vuole vaccinarsi. Sarebbe dunque necessario fare delle campagne informative ad hoc per combattere l’esitazione vaccinale, un fenomeno influenzato dal modello della 5 C: Confidence (la fiducia nell’efficacia dei vaccini e nei medici), Complacency (la mancata percezione del rischio delle malattie infettive), Convenience (accessibilità), Calculation (l’impegno dell’individuo nella ricerca di informazioni, che purtroppo, in mancanza di fonti certe, può portare ad una maggior resistenza al vaccino), Collective responsability (la volontà di proteggere gli altri, attraverso il vaccino)”.

Ma le persone con diabete come rispondono ai vaccini e in particolare a quello contro il SARS CoV-2? “In generale molto bene, al pari del resto della popolazione – spiega il professor Raffaele Marfella , ordinario di Medicina Interna presso l’Università della Campania ‘Vanvitelli’ (Napoli) – ma la risposta immunitaria dipende anche dal grado di compenso glicemico dell’individuo. Insomma, se la persona con diabete è scompensata (cioè se ha un’emoglobina glicata superiore al 7%) al momento della vaccinazione, la risposta al vaccino potrebbe ridursi. Ma la buona notizia è che se ottengono un buon compenso metabolico anche dopo aver fatto il vaccino, la risposta immunitaria torna altrettanto valida di quella delle persone non diabetiche. Il take home message insomma è che l’iperglicemia ‘sbiadisce’ la risposta immunitaria, mentre la ‘ricolora’ una glicemia ben compensata”. Il Covid-19 insomma rappresenta un motivo in più per perseguire un ottimo controllo della glicemia, sia per proteggersi dall’infezione, che per migliorare la risposta al vaccino. Si, ma quali vaccini?

“ Sono almeno tre le piattaforme di vaccini che si sono mostrate efficaci contro il Covid-19 – ricorda Carlo Toniatti , direttore scientifico IRBM di Pomezia – quelli a mRNA, a vettore virale e a nonoparticelle (i cosiddetti vaccini ‘proteici’). I vaccini a mRNA si sono dimostrati molto efficaci, ma hanno incontrato anche tante resistenze psicologiche; credo che l’arrivo dei vaccini ‘classici’, quelli a nanoparticelle ricombinanti, come il Novavax, aiuterà a vincere queste resistenze. E, per il futuro, si sta già lavorando a vaccini mirati ad aumentare l’immunità cellulare, cioè a stimolare le cellule T. Ma questo potrebbe richiedere una decina d’anni”.

E nel frattempo l’Africa, il continente meno vaccinato della terra, rappresenta una bomba a orologeria per l’emergere di nuove varianti.“Nella metà povera del mondo – ricorda il professor Dietelmo Pievani , biologo evoluzionista e prorettore dell’Università di Padova – il virus è più libero di mutare; per questo, le disuguaglianze di accesso alla salute e il SARS CoV-2 rappresentano una ‘sindemia’. Inoltre, abbiamo creato contesti antropici che favoriscono le zoonosi e questo favorisce le ‘ecosindemie’ (una pandemia che interagisce con fattori sociali ed ecologici); tutti i focolai di Ebola finora registrati si sono avuti in zone dove la foresta è stata rimpiazzata da piantagioni; anche il commercio illegale di animali esotici e i wet market favoriscono lo spillover . Insomma, anche l’attuale pandemia di Covid-19 è un effetto collaterale della devastazione ambientale. D’altronde, il concetto di ‘ One Health’ ce lo ha insegnato: la patologia dell’ambiente, prima o poi diventa patologia umana”.

Ufficio Stampa SID

Paziente ‘digitale’: il diabete è una delle discipline più ‘avanti’.

Le tecnologie per la salute digitale sono già una realtà nel campo del diabete e permettono di essere vicino ai pazienti anche quando il diabetologo è lontano. La lezione del Covid- 19 e cosa manca per un’implementazione su larga scala. L’intervento del professor Luigi Laviola (Bari) al congresso ‘Panorama Diabete’ della Società Italiana di Diabetologia.

La pandemia di Covid-19 ha dato un’accelerazione senza precedenti alla digitalizzazione della medicina, soprattutto nel campo del diabete. Ma adesso è necessario sistematizzare, rendere organiche e mettere in rete le tante iniziative spontanee, spuntate durante i mesi più duri dei lockdown, per traghettare il ‘digital diabetes’ verso il futuro, approfittando anche delle risorse messe a disposizione dal Pnrr. Perché tutto ciò diventi veramente l’alba di un nuovo mondo per le persone affette da questa condizione. E i risultati dei primi studi sulla telemedicina applicata al diabete suggeriscono che questa è la strada da percorrere, visto che i pazienti assistiti da remoto o in modalità ibrida hanno in media un’emoglobina glicata di mezzo punto inferiore a quelli assistiti in modalità tradizionale.

“ Il digitale è già presente in tanti aspetti della vita dei pazienti – afferma il professor Luigi Laviola , ordinario di Medicina Interna all’Università di Bari – dalla pre-visita (informazioni sulle malattie, ricerca di sintomi, medici e strutture), alla visita (prenotazione, consulto, pagamento, invio referti, al trattamento (somministrazione, monitoraggio del decorso della patologia). Ma la vera rivoluzione è ancor più evidente nei device per il diabete (pompe da insulina, penne da insulina ‘smart’, pancreas artificiali ibridi, sensori per la glicemia ‘impiantabili’ e ‘indossabili’), nelle ‘app’ per pazienti e per medici da smartphone, nei siti web di supporto al paziente e nei software di data management. E già si guarda alle prossime frontiere, come le app di supporto decisionale per il medico, gli algoritmi di intelligenza artificiale (già entrati nello screening della retinopatia diabetica) e i sistemi di integrazione delle informazioni provenienti dai social media. C’è poi tutta l’area dei digital therapeutics, cioè delle app utilizzate come ‘farmaci’, che verranno validati da trial clinici su e-coorti”.

La mobile health (m-health) fa riferimento all’uso di dispositivi mobili (app da computer o smartphone, altre che utilizzano sistemi di comunicazione più tradizionali quali telefono, sms, e-mail, instant messaging) per scambiare informazioni che hanno a che fare con la salute. Nell’ambito generale della connettività, la telemedicina fa riferimento all’attività di cura e prevenzione tramite l’uso di tecnologie, che include tutta una serie di strategie, la principale delle quali è il tele-monitoraggio . “Il diabete – commenta Laviola – è forse l’esempio migliore di come questi aspetti di salute digitale possano essere collegati in maniera efficace: la m-health consente al paziente di registrare sul suo smartphone e inviare su cloud i dati relativi ad esempio alla glicemia; il telemonitoraggio consente al medico di visualizzare questi dati sul suo computer e di darne un’interpretazione; la telemedicina in senso stretto è il collegamento tra questi due attori e utilizza le informazioni fornite dal paziente e le considerazioni fatte dal medico, per gestire al meglio la patologia”. Nel diabete, si è già in un contesto in cui questi vari aspetti sono collegati tra loro. Anche perché un numero, non seguito da un’azione, non ha alcun significato e non serve al paziente. Ma la strada da percorrere è questa. “Dal punto di vista della valutazione dell’efficacia – spiega Laviola – metanalisi e studi recenti convergono su un risultato ricorrente: queste strategie determinano una riduzione di mezzo punto dell’emoglobina glicata , un dato clinicamente significativo di miglioramento del compenso del diabete”.

Durante la pandemia, i medici si sono trovati a dover gestire richieste d’aiuto dei pazienti con malattia cronica che necessitavano di supporto e di contatto ma che dovevano evitare di entrare in ospedale. “Le società scientifiche di categoria (Società Italiana di Diabetologia – SID, Associazione Medici Diabetologi – AMD, Società Italiana di Endocrinologia – SIE) lo scorso anno, hanno messo a punto un Percorso Diagnostico- Terapeutico Assistenziale ( PDTA ) sottoposto alle autorità regolatorie, per un primo orientamento circa le modalità di attuazione di una tele-visita per i pazienti metabolici, diabetici ed endocrinopatici.

“ Successivamente – ricorda Laviola – abbiamo fatto una survey delle tecnologie e software disponibili per la telemedicina, per individuarne pregi e difetti e cosa serviva a migliorarle. Più di recente SID, AMD e SIE hanno elaborato un vademecum molto pratico sulla gestione delle visite diabetologiche da remoto, indicandone le tappe essenziali (calendarizzazione appuntamenti, contatto preliminare, acquisizione ricetta, attività di tele-visita con strumenti e software sicuri, criptati e in grado di garantire la sicurezza dei dati, la refertazione della visita e la certificazione della prestazione). Questo ha consentito alle strutture diabetologiche italiane di reggere l’impatto del Covid meglio di quanto sia successo in altri Paesi del mondo”. Negli Usa le visite in presenza si sono ridotte in questo periodo di oltre il 60% e solo il 14% di queste è stato recuperato tramite tele-visita; mentre in Italia, nelle 8 settimane di lockdown più duro (a marzo) molti centri diabetologici sono riusciti a portare a termine oltre il 90% delle visite prenotate grazie alla telemedicina. E si è addirittura generato un paradosso, quello del lockdown effect : alcuni parametri di compenso glico-metabolico dei pazienti italiani seguiti in telemedicina sono addirittura migliorati durante il lockdown. Forse perché si sono sentiti comunque seguiti, anche a distanza.

Cosa si è imparato da queste esperienze di telemedicina e come impronterà l’assistenza futura? “Di certo – spiega Laviola – il concetto di raccogliere dati rilevanti e come utilizzarli. Ma il modo con il quale facciamo le nostre visite deve cambiare; dobbiamo passare da un approccio ‘puntuale’, ad una visita che tenga conto di quello che è successo e di quello che succederà (i dispositivi di telemedicina raccolgono lo storico e ci permettono di prevedere il futuro). Infine, va considerata la possibilità dell’ approccio ‘ibrido’ (visite da remoto e in presenza nel corso dell’anno) che deve diventare un’opzione per tutte le persone con diabete. È naturalmente necessaria la disponibilità di hardware e di dispositivi nei centri diabetologici e a casa dei pazienti, ma la vera conditio sine qua non però è lavorare sulle competenze informatiche , non solo dei pazienti, ma anche dei professionisti della salute (formazione all’uso delle tecnologie). Un altro punto importante è l’ integrazione dei dati , cioè l’interoperabilità delle varie piattaforme; è necessario spingere per un linguaggio unico di queste piattaforme e di questi dispositivi. Non è accettabile che gli approccio innovativi di telemedicina siano guidati dall’iniziativa delle industrie private. Fondamentale è anche una normativa corretta sull’utilizzo dei dati e la sicurezza informatica dall’intrusione di cyber-attack. E infine l’interpretazione dell’utilità di questi sistemi che significa non solo una valutazione di costo-efficacia economica, ma una valutazione intelligente di quello che significa per la singola persona e per la società l’utilizzo di questi dispositivi; infine servono dei modelli di rimborso dignitosi”.

“ La sfida della cronicità – commenta Agostino Consoli , presidente della SID – passa per la prossimità. E la prossimità non può che essere digitale. E non solo nel contatto tra lo specialista di diabetologia e il paziente, ma anche nella costruzione della rete, del network , che comprende la persona con diabete, il suo curante, il medico di medicina generale, lo specialista diabetologo e in seconda battuta, gli specialisti coinvolti nel trattamento delle complicanze. E l’ossatura di questo network non può che essere telematica. Esempi virtuosi di questo sono già presenti. Occorre implementarli, diffonderli e renderli il ‘PDTA nazionale’ dell’assistenza al diabete”.

“ La pandemia di Covid- 19 – ammette il professor Angelo Avogaro , presidente eletto della SID – ha sicuramente imposto un ‘allontanamento’ del paziente con diabete dal suo centro di riferimento. Le ricadute di questo distacco sono state un peggioramento del compenso glicemico e l’interruzione dell’abituale follow-up delle complicanze della malattia. Per questi motivi, l’introduzione nella pratica diabetologica della digital health ha sicuramente reso meno dolorosa questa lontananza e ha favorito il rapporto continuo tra pazienti e diabetologo. A tutt’oggi la pandemia fa sentire i suoi effetti, ma riteniamo che, anche in tempi migliori, la digital health possa supportare la diabetologia, soprattutto nel follow-up dei pazienti con difficoltà di accesso ai servizi di diabetologia”.

Ufficio stampa Sid

Terapia del diabete di tipo 2, nuove linee guida: cosa cambia e cosa resta.

Il commento del professor Agostino Consoli, presidente SID e del professor Angelo Avogaro, presidente eletto della SID

Presentata al congresso ‘Panorama Diabete’ della Società Italiana di Diabetologia SID la nuova edizione delle linee guida congiunte della Società Italiana di Diabetologia (SID) e dell’Associazione Medici Diabetologi (AMD) per la ‘ Terapia del diabete di tipo 2 ’ che l’Istituto Superiore di Sanità ha inserito all’interno del Sistema Nazionale delle Linee Guida (SNLG). La novità più eclatante delle nuove linee guida è che le sulfaniluree scompaiono dall’algoritmo terapeutico per il diabete di tipo 2. “Un passo necessario – commenta il professor Agostino Consoli , presidente della Società Italiana di Diabetologia SID – perché la revisione sistematica degli studi su questi farmaci ha evidenziato un rapporto benefici/rischi non favorevole per le sulfaniluree, rispetto ad altre, più moderne opzioni terapeutiche. Viene dunque raccomandato di non prescrivere queste molecole alle persone con diabete che non ne facciano già uso e di procedere alla loro progressiva sostituzione in chi fosse già in trattamento con questi farmaci”. “Il processo di sostituzione progressiva di terapie ormai obsolete – commenta il professor Edoardo Mannucci , coordinatore del panel di esperti della SID e dell’AMD che ha redatto le linee guida – potrà richiedere tempo e sforzo organizzativo, ma porterà certamente ad un miglioramento della qualità complessiva della cura per le persone con diabete di tipo 2”.

La seconda caratteristica distintiva delle nuove linee guida è che, contrariamente ad altre linee guida internazionali che hanno mostrato da subito un ‘innamoramento’ per le nuove molecole, le linee guida SID-AMD continuano a riservare un ruolo centrale alla metformina . E non potrebbe essere altrimenti: gli studi analizzati confermano che, sebbene ‘datato’, si tratta di un farmaco efficace e conveniente, in termini di rischio/beneficio. “Ma naturalmente – commenta il professor Angelo Avogaro , presidente eletto della SID – anche le nuove linee guida italiane recepiscono le evidenze prodotte dagli studi clinici sui benefici cardio-vascolari di alcune classi di farmaci come gli SGLT2 inibitori e i GLP-1 agonisti , che vengono dunque poste in una posizione importante all’interno degli algoritmi terapeutici. Questi farmaci vanno considerati in seconda linea, dopo la metformina, nei pazienti senza malattie cardiovascolari note, mentre vanno prescritti già in prima linea nei pazienti con patologie cardiovascolari”.

E uno dei pilastri del trattamento del diabete di tipo 2 resta comunque una sana alimentazione . Gli esperti diabetologi raccomandano di seguire una dieta bilanciata di tipo mediterraneo, mentre sconsigliano le diete ipoglicidiche (le cosiddette ‘low-carb’) e quelle chetogeniche, nella terapia a lungo termine del diabete di tipo 2. Questo perché con le ‘low-carb’ e le chetogeniche gli effetti a medio e lungo termine sul compenso glicemico risultano peggiori rispetto alle diete bilanciate, di tipo ‘mediterraneo’.

Un’altra novità delle linee guida riguarda l’ attività fisica . Restando ferme le indicazioni sull’importanza dell’attività fisica ‘mista’ (aerobica e anaerobica), che va preferita a quella o solo aerobica o solo anaerobica, scompaiono le ‘soglie’ di attività fisica. Non viene più indicata insomma una soglia minima di attività fisica, che viene sostituita dall’indicazione: ‘fare più attività fisica possibile’.

Rispetto alle edizioni precedenti delle linee guida italiane (gli Standard di Cura del Diabete Mellito), queste nuove linee guida presentano tante novità, anche nel formato , non più ‘omnicomprensivo’, ma focalizzato su un argomento specifico, in questo caso la terapia del diabete di tipo 2. Molto più sintetiche rispetto agli ‘Standard di Cura’, le nuove raccomandazioni sulla terapia del diabete di tipo 2 sono soltanto 18 (contro le 75 sullo stesso argomento contenute negli standard di cura del 2018).

“ Per la prima volta – spiega il professor Consoli – per elaborare le nuove linee guida, gli esperti delle due società scientifiche SID e AMD si sono avvalsi del metodo GRADE , una procedura complessa che mira a ridurre al minimo l’influenza di opinioni personali, ragionamenti deduttivi e preferenze individuali, portando gli estensori della linea guida ad attenersi alle evidenze derivanti da studi clinici di buona qualità (preferibilmente trial randomizzati). Questo metodo, così complesso, consente di ottenere raccomandazioni molto più oggettive, e quindi metodologicamente solide, rispetto alla gran parte delle linee guida esistenti a livello internazionale. E del resto, le implicazioni medico-legali che le linee guida ormai hanno nel nostro sistema, richiedono un particolare rigore nella loro formulazione”.

Dietro ogni raccomandazione, dunque, c’è un grande lavoro di revisione sistematica della letteratura, valutazione critica di evidenze e sintesi statistiche, che viene riportato integralmente, di seguito alla lista delle

raccomandazioni, nel sito del Sistema Nazionale delle Linee Guida. Una volta determinati i vantaggi e gli svantaggi di ciascuna opzione terapeutica, si aggiungono considerazioni economiche (effetti sui costi sanitari diretti, costo-efficacia, costo-utilità, eccetera), verifiche di impatto organizzativo e di fattibilità, arrivando infine, attraverso appositi algoritmi, alla formulazione della raccomandazione. “Ci auguriamo – conclude il professor Consoli – che queste raccomandazioni possano essere un valido ausilio nella pratica professionale quotidiana dei diabetologi italiani”.

Ufficio stampa Sid

Panorama Diabete: l’assistenza diabetologica di oggi e di domani. ‘ Innovazione, Organizzazione, Digitalizzazione’.

Riccione per quattro giorni capitale della diabetologia. Gli specialisti della Società Italiana di Diabetologia SID finalmente riuniti in presenza per gettare le basi della nuova assistenza diabetologica, ma anche per discutere delle nuove Linee Guida, delleultimissime novità terapeutiche di ‘Digital diabetes’ , ‘One health’ e Medicina di Genere.

Si inaugura oggi a Riccione ‘Panorama Diabete’, il Forum multidisciplinare e multidimensionale a cadenza biennale, organizzato dalla Società Italiana di Diabetologia. Nel corso del congresso, che si terrà da oggi al 30 novembre, verranno celebrati i 100 anni dalla scoperta dell’insulina con la presentazione di una cartolina celebrativa con uno speciale annullo postale, nell’ambito di una iniziativa di SID, AMD ed AIFA cui ha partecipato Poste Italiane. Questa cartolina verrà consegnata come riconoscimento simbolico ai ‘veterani’ del diabete, coloro che vivono bene con la malattia da oltre 50 anni e diventano quindi speciali testimonial degli incredibili progressi terapeutici fatti in questo campo. Per tutti, verrà pubblicamente ‘premiato’ un insegnante di Vasto (Chieti) che convive con questa condizione da oltre 65 anni.

Tanti gli argomenti sul tappeto nella quattro giorni di Riccione: da quelli clinico- scientifici (diabete e medicina di genere, diabete e ambiente, nuovi farmaci e nuovi device, Linee Guida, Digital Diabetes ), ‘contaminati’ dalle expertise di altri specialisti, a quelli politico-organizzativi. Tra questi ultimi protagonista assoluta è la riorganizzazione dell’assistenza diabetologica alla luce della missione 6 del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza ( Pnrr) e dell’esperienza della pandemia. “Noi diabetologi – afferma il professor Agostino Consoli , presidente SID – vogliamo essere parte attiva nella ridefinizione del nuovo piano assistenziale. Per questo, insieme ad AMD, abbiamo istituito un apposito tavolo tecnico consultivo, con il compito di elaborare proposte operative che aiutino a declinare le linee di indirizzo del PNRR in relazione al diabete”.

Al centro della missione 6 ‘Salute’ del Pnrr c’è il grande capitolo della ‘cronicità’, del quale il diabete è una parte importante. L’assistenza territoriale dovrà essere ridisegnata in un’ottica di medicina di prossimità, istituendo Case della Comunità, Ospedali di Comunità e avvalendosi sempre più di servizi di telemedicina. Ma per la gestione delle persone con diabete quale potrebbe essere la formula dell’assistenza ideale? “Ci auguriamo – afferma Consoli – che la rete dei centri diabetologici, che tanto ha contribuito al benessere delle persone con diabete in Italia, non venga relegata nelle Case di Comunità e magari ridimensionata, ridotta cioè alla presenza del solo diabetologo, anziché del team. Riteniamo opportuno creare anche sul territorio delle forti unità di diabetologia, che possono lavorare in rete e interagire con le Case di Comunità. È giusto che il paziente cronico venga assistito quanto più possibile fuori dall’ospedale, ma è necessario che soprattutto sul territorio possa trovare strutture specialistiche di diabetologia in grado di assisterlo in maniera ottimale e multidimensionale. Per questo riteniamo fondamentale creare e/o potenziare fortemente centri diabetologici hub , che rappresentino lo snodo essenziale di una rete digitale integrata, che consenta l’interazione efficace con la medicina generale e con tutti gli specialisti coinvolti a nella gestione delle persone con diabete”.

“ La omogeneità delle cure e dell’accesso ad esse – afferma Angelo Avogaro , presidente eletto della SID – è un diritto inalienabile dei cittadini affetti da diabete. Purtroppo esistono forti difformità a livello delle singole Regioni nella gestione delle malattie croniche. Per questo la SID auspica che in tutte le Regioni italiane, in modo uniforme, il cittadino interessato da questa malattia possa essere seguito da un team diabetologico completo e possa ricevere un counselling adeguato per ottimizzare lo stile di vita ed affrontare le problematiche poste dalla convivenza con la malattia. In tutte le persone affette dalla malattia dovrebbe non solo essere raggiunto un compenso metabolico ottimale attraverso l’impiego di farmaci innovativi con comprovata azione di protezione cardio- vasculo-renale, ma anche effettuato un periodico screening approfondito delle complicanze a lungo termine del diabete”. Questa omogeneità nell’assistenza delle persone con diabete è un elemento essenziale della tanto auspicata equità del nostro Servizio sanitario nazionale.

E in questo, la filosofia del Pnrr può venire in aiuto, dando omogeneità organizzativa e tecnologica all’assistenza territoriale ed estendendo così l’assistenza a fasce di popolazione al momento non raggiunte dallo specialista diabetologo; si stima che, oltre ai quasi 4 milioni di italiani con diabete, ve ne siano almeno altri 1,5-2 milioni ancora senza diagnosi, che sono cioè diabetici senza saperlo. Inoltre, solo una persona con diabete su 3 è attualmente assistita presso un centro diabetologico; una limitazione importante visto che al momento farmaci e device innovativi sono prescrivibili per lo più solo dagli specialisti. “La prevenzione del diabete e il suo trattamento – sostiene Avogaro – devono essere considerate strategiche.

Ecco perché – continua Avogaro – chiediamo da un lato che vengano fortemente potenziati i team diabetologici, dall’altro che si attui uno sforzo comune con la medicina generale per individuare e trattare tempestivamente i cittadini con nuova diagnosi di diabete, riferendoli, almeno per un primo inquadramento della patologia, ai servizi di diabetologia. Questi a loro volta dovranno collaborare in maniera efficace ed efficiente con il medico di medicina generale per una gestione integrata dell’assistito. In questo moderni strumenti tecnologici e informatici saranno di grande aiuto per seguire anche da remoto e con maggior continuità i pazienti con diabete, a rischio di complicanze o particolarmente fragili. Questo schema – conclude il professor Avogaro – avrà il vantaggio non solo di permettere al cittadino con diabete di essere comunque in contatto con lo specialista,ma anche di beneficiare di una più efficiente condivisione di dati e strategie tra diabetologo e medico di medicina generale”.

Ufficio Stampa SID

Diabete: dall’impegno di “Health Next Generation” un aiuto per piegare la malattia .

A cent’anni dalla scoperta dell’insulina, molto è stato fatto in termini di ricerca e cura delle persone con diabete, ma molto è ancora da fare per migliorare gli outcome clinici, la prevenzione e la riduzione delle complicanze della malattia. Questi i temi al centro dell’Italian Diabetes Barometer Forum di quest’anno, in vista anche delle opportunità offerte dal Pnrr
 
Organizzato da IBDO Foundation e Intergruppo Parlamentare “Obesità e Diabete”, in collaborazione con Anci Comunicare, l’Università degli Studi di Roma “Tor Vergata” e con il contributo non condizionato di Novo Nordisk nell’ambito del programma Changing Diabetes, l’evento, dal titolo “Diabetes and Health Next Generation”, è occasione di confronto per Istituzioni ed esperti

Ogni 10 minuti una persona con diabete ha un infarto, un ictus o sviluppa un deficit visivo importante, ogni 52 minuti subisce un’amputazione e ogni 4 ore entra in dialisi. A cent’anni dalla scoperta dell’insulina, che ricorre quest’anno, molto è stato fatto in termini di ricerca e cura delle persone con diabete, ma molto è ancora da fare nella sfida contro questa malattia cronica, che colpisce quasi quattro milioni di italiani, per migliorare gli outcome clinici, la prevenzione e la riduzione delle complicanze. Su questi temi, e non solo, si confronteranno oggi pomeriggio esponenti di Istituzioni, società scientifiche ed esperti durante il 14esimo Italian Diabetes Barometer Forum, dal titolo “Diabetes and Health Next Generation”, con esplicito riferimento al principale strumento messo in campo dall’Unione Europea per disegnare il futuro del vecchio continente e affrontare l’impatto economico e sociale della pandemia: il programma Next Generation EU da 750 miliardi di euro. L’evento è organizzato da Italian Barometer Diabetes Observatory Foundation (IBDO Foundation) e Intergruppo Parlamentare “Obesità e Diabete”, in collaborazione con Anci Comunicare, l’Università degli Studi di Roma “Tor Vergata” e con il contributo non condizionato di Novo Nordisk, nell’ambito del programma Changing Diabetes.

“Nell’ultimo anno, la pandemia dovuta al Covid-19 ha colpito duramente chi soffre di malattie croniche, tra cui le persone con diabete, evidenziando da un lato la fragilità del sistema di presa in carico territoriale e la disparità di accesso alle cure nelle diverse regioni, ma dall’altro l’importanza di alcune innovazioni e semplificazioni nell’assistenza alle persone con malattie croniche, che devono essere strutturate e diventare parte integrante del sistema sanitario, non solo in fase emergenziale”, spiega Paolo Sbraccia, Vice Presidente IBDO Foundation.

E proprio a causa di diverse criticità emerse durante la pandemia, come le disparità territoriali nell’erogazione dei servizi, in particolare in termini di prevenzione e assistenza sul territorio, l’inadeguata integrazione tra servizi ospedalieri, servizi territoriali e servizi sociali e i tempi di attesa elevati per l’erogazione di alcune prestazioni, il Governo italiano ha previsto nel Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), che si inserisce all’interno del programma Next Generation EU, specifiche misure e interventi per il rafforzamento del sistema sanitario. Infatti, la sesta missione del Pnrr vede oggi stanziati circa 20 miliardi di euro per intervenire in particolare su due direttrici, in ambito sanità: lo sviluppo di una rete territoriale sempre più vicina alle persone e l’ammodernamento delle dotazioni tecnologiche del sistema sanitario nazionale.

Un sistema di prossimità non sempre adeguato, infatti, ha non solo ridotto la capacità di gestione delle persone che hanno contratto il Covid, ma ha portato a gravi mancanze nell’assistenza delle persone con altre malattie, come diabete, tumori, malattie cardiovascolari. Durante i mesi di emergenza, spesso è venuta meno la prevenzione, l’accesso alle cure e la continuità assistenziale, con conseguenze anche gravi che, protraendosi, potrebbero aggravare la fragilità del sistema, motivo per cui è fondamentale intervenire subito. “Auspichiamo che il Pnrr favorisca un cambio di rotta nelle politiche sanitarie nazionali con l’attribuzione di maggiore attenzione alla necessità di organizzare e potenziare l’assistenza territoriale. Il fatto che i finanziamenti complessivi previsti per la sanità territoriale superino quelli per la sanità ospedaliera, ci fa ben sperare in questo senso”, afferma Gerardo Medea, Responsabile nazionale area prevenzione e metabolica Società Italiana di Medicina Generale e delle Cure Primarie – SIMG.

“Anche noi diabetologi auspichiamo un’adeguata allocazione di risorse per il potenziamento di questo assetto organizzativo, con particolare attenzione all’integrazione tra assistenza sanitaria di base e specialistica, in cui sono fondamentali il riconoscimento del ruolo del medico di medicina generale e quello della rete italiana dei Servizi di diabetologia, ospedalieri e territoriali, un’integrazione che sta alla base del percorso diagnostico terapeutico assistenziale e di un modello di gestione della malattia che si è dimostrato efficace nel ridurre morbilità, ricoveri e contenere la spesa sanitaria complessiva”, aggiunge Paolo Di Bartolo, Presidente Associazione Medici Diabetologi – AMD.

“Un ridisegno strutturale e organizzativo della rete dei servizi, soprattutto nell’ottica di rafforzare l’ambito territoriale di assistenza, è reso necessario dal cambiamento negli anni dei bisogni di salute della popolazione, con una quota crescente di persone anziane e malattie croniche”, spiega Agostino Consoli, Presidente della Società Italiana di Diabetologia – SID. “Un contributo importante può essere dato dall’innovazione tecnologica, in particolare per spostare il fulcro dell’assistenza sanitaria dall’ospedale al territorio, attraverso modelli assistenziali incentrati sul cittadino e facilitando l’accesso alle prestazioni sul territorio nazionale. I servizi resi possibili dalla telemedicina sono fondamentali in tal senso, contribuendo ad assicurare equità nell’accesso alle cure nei territori remoti, un supporto alla gestione delle cronicità e una migliore continuità della cura attraverso il confronto multidisciplinare”, conclude.

“La pandemia ha dato un significativo impulso all’attuazione della telemedicina, evidenziandone i potenziali benefici come complemento alle tradizionali prestazioni assistenziali. Il suo impiego nella assistenza alla persona con diabete dovrà da ora in poi far parte dello standard di cura del diabete attraverso strumenti digitali sempre più versatili e affidabili, anche per garantire la protezione dei dati personali”, dice Francesco Giorgino, Presidente della Società Italiana di Endocrinologia – SIE, che aggiunge “Rispetto ad altri settori, la telemedicina in diabetologia è già molto utilizzata, ma non in maniera organica. Per questo con il Pnrr, oltre all’ammodernamento strutturale, confidiamo avvenga un’armonizzazione dei sistemi utilizzati, quale presupposto alla interoperabilità dei servizi e come requisito per il passaggio da una logica sperimentale a una logica strutturata di utilizzo diffuso dei servizi di telemedicina”.

Per raggiungere gli obiettivi del Pnrr, oltre agli investimenti, sarà necessario rivisitare l’attuale modello di sistema sanitario, per limitare il rischio di una frammentazione delle iniziative progettuali a discapito del risultato complessivo auspicato. Walter Ricciardi, Presidente World Federation of Public Health Association, affronterà questo tema nella sua lettura “Ripensare al modello di sanità”; come ha già spiegato in altre sedi, Ricciardi ipotizza la necessita di ridisegnare la governance del Ssn, con rapporti più equilibrati fra Stato e Regioni. Il ruolo della tecnologia, non per sostituire i medici, ma perché sia un valido aiuto anche per una “umanizzazione” delle cure, sarà invece al centro dell’intervento di Luca Pani, Professore di Farmacologia dell’Università di Modena e Reggio Emilia nella sua lettura “La rivoluzione digitale in medicina”.

“Il diabete come paradigma della cronicità può diventare un modello per riprogettare l’approccio del nostro Sistema Sanitario Nazionale alle malattie croniche non trasmissibili, agendo su nuovi modelli di integrazione territoriale e equo accesso ai servizi sanitari in tutte le regioni, eliminando le diseguaglianze di accesso alle diagnosi, alle cure e ai trattamenti innovativi presenti oggi e che sono stati resi ancora più evidenti dalla pandemia”, afferma Roberto Pella, Presidente Intergruppo parlamentare “Obesità e Diabete” e Vicepresidente vicario ANCI.

“Questa catastrofe globale che abbiamo vissuto con la pandemia, paradossalmente, rappresenta un’opportunità per superare vecchi e nuovi limiti del nostro sistema sanitario. Per farlo, sarà fondamentale guardare al passato per non commettere più gli stessi errori, ma con un occhio al futuro al fine di consegnare un Paese migliore alle generazioni future”, commenta Renato Lauro, Presidente dell’Italian Barometer Diabetes Observatory Foundation. “Il Pnrr è fondamentale per le nuove generazioni. Penso che l’Italia abbia tutte le caratteristiche per sfruttare al meglio i fondi a disposizione e che i giovani e il lavoro debbano essere il centro di questo piano”, aggiunge Orazio Schillaci, Rettore dell’Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”.

“Una sfida che dobbiamo assolutamente vincere, per questo abbiamo deciso di incentrare il Forum di quest’anno sulle possibilità offerte dal Next Generation EU”, conclude Lauro.

Ufficio stampa IBDO
HealthCom Consulting

DIABETE: DISPONIBILE IN ITALIA NUOVO SISTEMA IBRIDO AD ANSA CHIUSA PER SOMMINISTRAZIONE AUTOMATICA DI INSULINA.

Grazie ad un algoritmo che auto-apprende, a un microinfusore dall’elevata accuratezza di erogazione e un sensore in grado di misurare ogni 5 minuti i livelli di glicemia, DBLG1 System è in grado di somministrare autonomamente i corretti quantitativi di insulina aumentando il tempo in cui il paziente riesce a stare in un range glicemico ottimale.

Il diabete è una malattia che condiziona la vita quotidiana delle persone che ne soffrono e necessita di un monitoraggio costante e di continue attenzioni terapeutiche. La difficile gestione di questa malattia e, in particolare, della terapia insulinica, fa sì che oltre 7 persone su 10 con diabete di tipo 1 non raggiungano un buon controllo glicemico.1

“Nonostante i progressi nelle terapie, con insuline sempre più performanti, e dispositivi con tecnologie avanzate, solo il 30 per cento delle persone con diabete di tipo 1 ha valori di emoglobina glicata inferiori al 7 per cento secondo i dati degli Annali 2020 e tra quelli che non raggiungono il target desiderato, ben il 35 per cento è francamente scompensato, con valori di emoglobina glicata superiori a 8 per cento”, dice Paola Ponzani, Dirigente Medico Responsabile della SSD Diabetologia e Malattie Metaboliche ASL 4 Chiavarese (GE).

Da oggi, è disponibile anche in Italia, per medici e persone con diabete di tipo 1, DBLG1 System, un nuovo sistema ibrido ad ansa chiusa per la somministrazione automatica di insulina (AID), che permette di agevolare significativamente la gestione del diabete migliorando i risultati clinici, grazie all’integrazione del microinfusore Accu-Chek Insight, del sistema di monitoraggio in continuo del glucosio Dexcom G6 e dall’algoritmo DBLG1 inserito in un dispositivo portatile.

“I sistemi ibridi ad ansa chiusa segnano un importante passo avanti nell’evoluzione verso il pancreas artificiale, permettendo l’erogazione automatica di insulina giorno e notte, in risposta ai valori glicemici riscontrati dal sensore, con la richiesta di intervento del paziente solo al momento del pasto, quando deve inserire la quantità di carboidrati assunti. Da un punto di vista clinico, questi sistemi, basati sull’utilizzo di algoritmi di intelligenza artificiale, permettono di mantenere il paziente più a lungo all’interno del range glicemico considerato a target, ossia tra 70 e 180 mg/dl, di ridurre la variabilità glicemica e, soprattutto, le ipoglicemie. Per una persona con diabete questo vuol dire un miglioramento del proprio benessere e della qualità di vita, sia per il minor rischio di ipoglicemia sia per una riduzione del peso che comporta la gestione della propria malattia, ma nel lungo termine implica anche una riduzione del rischio di complicanze grazie al miglior compenso metabolico”, spiega Ponzani.

“Grazie ai tre elementi che compongono DBLG1 System, l’insulina viene erogata automaticamente attraverso il microinfusore sulla base delle elaborazioni fatte in tempo reale dall’algoritmo che riceve le misurazioni glicemiche dal sensore e sulla base dei dati inseriti dal paziente. L’algoritmo DBLG1 calcola la quantità corretta di insulina da erogare, regola la velocità dell’insulina basale o somministra un bolo di correzione automatico quando necessario – spiega Serena Ferrari, Marketing Director Roche Diabetes Care Italy. DBLG1 System ha dimostrato di aumentare il tempo che una persona con diabete rimane nel range glicemico corretto, rispetto ad un sistema senza questo tipo di algoritmo, promettendo un significativo miglioramento della qualità di vita. Inoltre, l’algoritmo è dotato di un sistema di machine learning, ovvero che impara dagli eventi che ricorrono ad esempio in concomitanza dei pasti e dell’attività fisica e che gli permette di prevedere l’andamento glicemico suggerendo le dovute correzioni di insulina”.

Il sistema, oltre ad essere personalizzabile attraverso parametri individuati insieme al proprio medico, permette di trasmettere e memorizzare le misurazioni effettuate, sulla piattaforma web YourLoops, dove sia il medico sia il paziente possono visualizzare i dati, permettendo così un’ottimizzazione dei tempi di visita e la possibilità di gestione del paziente da remoto.

Gli studi clinici sul DBLG1 – continua Paola Ponzani – hanno mostrato risultati molto promettenti. In particolare, si è osservato un aumento del 10 per cento che equivale a circa 2 ore al giorno, del tempo trascorso dal paziente nel range target e una riduzione del 2 per cento del tempo trascorso in ipoglicemia, ossia 30 minuti in meno al giorno. Nella mia esperienza questi risultati confermano l’impatto positivo che questo sistema ha sulla qualità di vita dei miei pazienti”.

“DBLG1 System è il primo esempio ma non l’unico, della Vision di Roche Diabetes Care basata sull’implementazione dell’integrated Personalised Diabetes Management (iPDM), che permette di personalizzare la gestione del diabete sulle vere necessità dei pazienti, in modo da offrire loro un reale sollievo dalla malattia attraverso lo sviluppo di dispositivi, servizi e prodotti digitali messi in connessione tra loro – dichiara Rodrigo Diaz de Vivar Wacher, Amministratore Delegato Roche Diabetes Care Italy. L’approccio olistico dell’iPDM si basa su un ecosistema aperto che promuove la collaborazione con tutti gli stakeholder e che consente di unire le nostre soluzioni e le soluzioni dei nostri partner. In questo, DBGL1 System è il frutto della partnership tra diverse aziende ed è un chiaro segnale del nostro impegno a collaborare apertamente per poter perseguire questa Vision legata all’iPDM. Come Roche siamo, quindi, orgogliosi di poterci impegnare quotidianamente in progetti così ambiziosi come DBLG1 System che vogliono portare un reale sollievo a tutte le persone con diabete, ovunque esse siano”.

DBLG1 System

Il DBLG1 System è un sistema ibrido ad ansa chiusa per la somministrazione automatizzata di insulina accurato, semplice e pratico, indicato per persone con diabete di tipo 1 con età superiore ai 18 anni, con un fabbisogno insulinico totale giornaliero (TDD) inferiore a 90 unità e in terapia con insulina ad azione rapida 100 UI/ml.

Il sistema, costituito da tre componenti, monitora in continuo il valore il glucosio nel sangue e calcola la quantità di insulina necessaria rilasciandola in modo automatico. È definito ibrido poiché i pazienti devono inserire manualmente le informazioni sui pasti e l’attività fisica.

Le tre componenti sono:

  1. Dexcom G6: il dispositivo che può essere posizionato in diverse aree del corpo e attraverso il sensore posto al di sotto della cute, misura in continuo i livelli di glucosio (Continuous Glucose Monitoring – CGM), inviando ogni cinque minuti il valore rilevato al dispositivo DBLG1 tramite Bluetooth Low Energy (BLE). Il sensore non necessita di calibrazioni.
  2. Microinfusore Accu-Chek Insight: sistema automatizzato e portatile per la somministrazione sottocutanea di insulina con cartuccia pre-riempita dall’elevata accuratezza di erogazione.
  3. Dispositivo portatile DBLG1: l’algoritmo è inserito in un dispositivo portatile dedicato che collega il sensore e il microinfusore, automatizzando le decisioni relative all’erogazione di insulina. Necessita di una semplice configurazione iniziale con solo quattro informazioni specifiche definite dal diabetologo. Grazie alla modalità loop, i dati raccolti dal sensore sono elaborati dall’algoritmo predittivo ogni cinque minuti, definendo in questo modo automaticamente la quantità di insulina basale e i boli di correzione, che verranno erogati dal microinfusore senza che il paziente debba intervenire. È necessario che il paziente inserisca giornalmente i pasti e l’attività fisica affinché l’algoritmo possa personalizzare sempre più la terapia insulinica. Infatti, l’algoritmo, grazie alla Machine Learning, impara giorno dopo giorno, permettendo così un’ottimizzazione della terapia insulinica sulla base di eventi ricorrenti. In caso di necessità, la modalità loop può essere disattivata momentaneamente e, in quel caso, il sistema erogherà il profilo basale di sicurezza, ma tutti i boli (correttivi e prandiali) potranno essere inviati manualmente dal dispositivo DBLG1 senza agire sul microinfusore.

I dati raccolti e trasmessi dal DBLG1 System sono memorizzati sulla piattaforma web YourLoops, accessibile da PC e da smartphone, che fornisce una visione completa e in tempo reale al paziente e, se necessario, anche al medico.

Grazie alla SIM card con traffico dati precaricata nel dispositivo portatile DBLG1 non è necessario effettuare alcun scarico dei dati, contribuendo così all’ottimizzazione dei tempi di visita e alla facilitazione della gestione da remoto.

DBLG1 System contribuisce a minimizzare il rischio di ipoglicemia grazie all’intervento predittivo sulla riduzione della basale, fino alla sua eventuale sospensione e anche grazie alle raccomandazioni automatiche di carboidrati di emergenza prima ancora di un eventuale episodio ipoglicemico. Inoltre, favorisce l’ottimizzazione del tempo trascorso in normo-glicemia (Time In Range – TIR), uno dei principali obiettivi del trattamento del diabete di Tipo 1.

Grazie a ciò, il DBLG1 System semplifica la gestione quotidiana del diabete potendo favorire una migliore qualità di vita.

HealthCom Consulting

Roche Diabetes Care Italy

Settimana mondiale della tiroide dal 24 al 30 maggio.

TIROIDE E PANDEMIA DA COVID: FACCIAMO CHIAREZZA

6 MILIONI GLI ITALIANI CON PROBLEMI

OCCHIO ALLA TIROIDE: ORBITOPATIA O MORBO DI BASEDOW

PAZIENTI IN CERCA DELLA PROPRIA IDENTITÀ

“Con la pandemia è ancora più importante mantenere in buona salute la tiroide rivolgendosi al proprio medico senza trascurare alcun campanello di allarme”, spiega Luca Chiovato, Presidente Associazione Italiana della Tiroide, AIT e coordinatore e responsabile scientifico della Settimana Mondiale della Tiroide. “Questa ghiandola svolge importanti funzioni per il nostro organismo come la regolazione del metabolismo, il controllo del ritmo cardiaco, la forza muscolare e il corretto funzionamento del sistema nervoso centrale e periferico. Per converso, la malattia da Covid-19 può alterare la funzione tiroidea creando ulteriori problemi diagnostici e terapeutici. Per questo il tema scelto per la Settimana Mondiale della Tiroide 2021 presentata oggi con il patrocinio dell’Istituto Superiore di Sanità, ISS è ‘TIROIDE E PANDEMIA DA COVID’ per cercare di dare risposta alle tante domande che le persone con una malattia tiroidea si fanno in questo periodo e individuare quali siano le patologie tiroidee che possano rendere il paziente più ‘fragile’ nei confronti della malattia da Sars-CoV2. Il principale obiettivo della Settimana è sensibilizzare la popolazione in merito ai problemi connessi alle malattie della tiroide e alla loro prevenzione: sono infatti oltre sei milioni gli italiani che soffrono di un problema a questa ghiandola così fondamentale per il buon funzionamento di tutto il nostro corpo”.

La Settimana Mondiale della Tiroide 2021, che si svolgerà dal 24 al 30 maggio, è promossa dalle principali società scientifiche endocrinologiche, mediche e chirurgiche, quali l’Associazione Italiana della Tiroide  – AIT,  la Società Italiana di Endocrinologia – SIE, l’Associazione Medici Endocrinologi – AME, la Società Italiana di Endocrinologia e Diabetologia Pediatrica – SIEDP, l’Associazione Italiana Medici Nucleari – AIMN, la Società Italiana Unitaria di Endocrino Chirurgia – SIUEC, la Società Italiana di Gerontologia e Geriatria – SIGG, insieme al Comitato delle Associazioni dei Pazienti Endocrini – CAPE e il supporto della European Thyroid Association-ETA ed è sostenuta con un contributo incondizionato da Ibsa Farmaceutici Italia, Merck Serono e Eisai.

“Per i pazienti con morbo di Basedow, la pandemia ha rappresentato un’ulteriore difficoltà in un percorso già ad ostacoli. Il morbo di Basedow si manifesta con un eccesso di ormoni tiroidei e il processo infiammatorio che ne è la causa può estendersi anche all’orbita causando il quadro clinico comunemente noto come ‘esoftalmo’ “spiega Francesco Frasca, Rappresentante della European Thyroid Association, ETA. “In questi casi bisogna fare molta attenzione anche alla vaccinazione anti- Covid-19 perché la terapia tipica dell’orbitopatia Basedowiana, i cortisonici ad alte dosi per via endovenosa, può vanificare l’effetto del vaccino se questo è somministrato durante il ciclo terapeutico. La cura dell’ipertiroidismo causato dal morbo di Basedow richiede poi controlli clinici frequenti per aggiustare la terapia che, durante le fasi più acute della pandemia, sono stati più difficili da attuare sia per l’impegno degli endocrinologi nell’emergenza Covid, sia per le difficoltà di accesso ai servizi ospedalieri. Per assicurare la cura dei pazienti si è fatto ricorso alla telemedicina nelle sue varie forme e, talora, all’utilizzo di schemi terapeutici, come quello basato sulla contemporanea somministrazione di farmaci anti-tiroidei ad alta dose e tiroxina, che consentono controlli clinici meno ravvicinati”.

“Il paziente con orbitopatia di Basedow”, spiega Emma Bernini, Presidente dell’Associazione Basedowiani e Tiroidei, “è un paziente molto fragile, spesso gravato da ritardi diagnostici e terapeutici a causa della complessità della sua malattia che richiede il supporto di un team medico multidisciplinare (endocrinologo, oculista, radiologo-radioterapista, chirurgo orbitario, chirurgo plastico). In questi pazienti, la maggior parte dei quali sono donne, il danno non è soltanto funzionale sino, nei casi più gravi, alla perdita della vista, ma anche estetico, a causa della sporgenza degli occhi e alla conseguente deformazioni dei tratti del volto. Ciò comporta una dolorosa perdita di identità che si aggiunge alle manifestazioni tipiche della malattia. Una volta controllato l’ipertiroidismo e il processo infiammatorio, la chirurgia “ricostruttiva” dello sguardo e del volto deve quindi essere considerata un irrinunciabile completamento della cura. È quindi auspicabile che il preannunciato potenziamento del servizio sanitario nazionale porti alla creazione di questi team multidisciplinari in sempre più ospedali. La pandemia ci ha infatti insegnato come siano difficili i viaggi della speranza nei pochi centri specializzati spesso presenti in regioni lontane”.

“La pandemia da Covid-19 ha sollevato ulteriori quesiti in relazione al trattamento dei pazienti con patologia oncologica tiroidea, soprattutto nei casi di tumori più aggressivi o avanzati che richiedano farmaci di ultima generazione”, afferma Franco Grimaldi, Presidente Associazione Medici Endocrinologi, AME “e, al fine di ridurre il rischio di contagio nelle strutture ospedaliere, vengono raccomandati per questi pazienti percorsi di diagnosi e cura protetti. In particolare, nei pazienti con carcinoma tiroideo avanzato e in terapia con gli inibitori delle Tirosin-kinasi (TKI) bisogna considerare alcuni importanti aspetti: se questi vengono colpiti da malattia infettiva Covid-19 devono essere considerati pazienti fragili e con un maggior rischio di esiti negativi, compresa la possibilità che l’infezione possa aggravare ulteriormente gli effetti collaterali dei TKI. Questi pazienti inoltre richiedono un continuo monitoraggio clinico, biochimico e strumentale. In ambito pandemico la telemedicina ha svolto un importante un ruolo di supporto evitando l’accesso del paziente negli ospedali e riducendo così il rischio di contagio.  Contestualmente è stato possibile assicurare il supporto necessario per controllare gli effetti collaterali e ottenere l’aderenza alla terapia. Ai pazienti in trattamento attivo deve essere offerta la vaccinazione SARS-CoV2. Quando possibile, la somministrazione del vaccino deve essere eseguita prima dell’inizio della terapia oncologica”.

“La tiroidite di Hashimoto, molto frequente soprattutto nelle donne, pur essendo di natura autoimmune, non è una malattia sistemica e non richiede per il suo trattamento farmaci immunosoppressori; quindi, non espone chi ne è affetto ad un più alto rischio di sviluppare una malattia grave da Covid-19”, continua Francesco Giorgino, Presidente Società Italiana di Endocrinologia, SIE. “Fanno eccezione a questa regola i casi in cui la tiroidite di Hashimoto si associa a due malattie endocrine che più gravemente impegnano l’organismo e il cui trattamento è molto più complesso: il diabete mellito di tipo 1, cioè quello che solitamente colpisce i bambini, i ragazzi e i giovani adulti ed è insulino-dipendente, e la malattia di Addison, che compromette un asse endocrino critico per la sopravvivenza in caso di malattie gravi intercorrenti come quella da Covid-19. Questi pazienti sono considerati veramente fragili e, giustamente, hanno una priorità per la vaccinazione utilizzando le formulazioni a RNA che assicurano una maggiore protezione. Lo stesso dicasi per l’associazione con altre malattie autoimmuni sistemiche come il lupus.  Quindi, la buona notizia è che, salvo i casi associati a patologie autoimmuni più gravi o sistemiche, non sussiste alcun valido motivo per ritenere fragili nei confronti della malattia da Covid-19 i pazienti affetti da tiroidite di Hashimoto, anche quando questi siano in terapia con tiroxina per curare il loro ipotiroidismo”. 

“Rassicuranti sono i dati, ad ora disponibili, sulla popolazione pediatrica affetta da tireopatia come ipotiroidismo congenito o acquisito e ipertiroidismo.  Non emerge infatti un maggior rischio di contrarre l’infezione da Sars-Cov2, né che questi pazienti possano avere una prognosi peggiore in caso di infezione”, afferma Maria Cristina Vigone, Segretario generale Società Italiana di Endocrinologia e Diabetologia Pediatrica, SIEDP. “Però i pazienti con funzionalità tiroidea scompensata, soprattutto in caso di ipertiroidismo, pur non essendo più suscettibili all’infezione da Sars-Cov2, possono avere maggiori complicanze in caso di infezioni. Per questo motivo, in tutti i centri di endocrinologia pediatrica, è stato fatto un grande sforzo per garantire la continuità assistenziale con visite periodiche programmate e, nei casi in cui questo non è stato possibile, attivando modalità alternative come consulenze telefoniche, video-consulenze e servizi di telemedicina. Lo screening dell’ipotiroidismo congenito non ha subito interruzioni o ritardi, così come la cura dei neonati affetti da questa patologia”.

“La malattia da Covid-19 si è rivelata particolarmente aggressiva e con elevata mortalità nei pazienti anziani e soprattutto negli ultraottantenni”, precisa Fabio Monzani, Rappresentante Società Italiana di Gerontologia e Geriatria, SIGG. “La polmonite da Covid-19 si associa ad un quadro di alterata risposta immunitaria che determina la liberazione massiva nel sangue di citochine infiammatorie, responsabili a loro volta di alterazioni dell’asse ipotalamo-ipofisi-tiroide con lo sviluppo della cosiddetta sindrome del malato eutiroideo o sindrome con bassa T3. Dati preliminari ottenuti da un registro nazionale elaborato sotto l’egida della SIGG documentano una prevalenza particolarmente elevata della sindrome del malato eutiroideo, superiore al 50 per cento nei pazienti anziani ricoverati. La comparsa di questo quadro, pur rappresentando una difesa dell’organismo in caso di malattie gravi, ha un valoro prognostico negativo perché si associa ad una maggiore mortalità”.

“L’attuale periodo pandemico, che si sta protraendo da oltre un anno, ha ridotto il ricorso da parte dei pazienti ai programmi di prevenzione e ai controlli periodici sia per quanto riguarda le patologie tiroidee benigne sia, e questo è più preoccupante, per quelle maligne”, continua Celestino Pio Lombardi, Presidente Società Italiana Unitaria di Endocrino Chirurgia, SIUEC. “La paura di ‘andare in ospedale’ per visite e esami ambulatoriali, il contingentamento degli appuntamenti e, in molti casi, la temporanea sospensione dei servizi o la trasformazione dei reparti per ricoveri ‘Covid’, ha causato sia ritardi diagnostici, sia l’allungamento dei tempi per effettuare interventi di tiroidectomia, spesso necessari. Il rischio, in caso di noduli tiroidei tumorali, è l’aumento di dimensioni che, non solo può peggiorare il successivo decorso, ma può rendere impossibile il ricorso alla chirurgia tiroidea mininvasiva e più conservativa, con conseguenze post-operatorie ed estetiche talvolta importanti. La nuova sfida è quindi ‘recuperare il tempo perduto’ intensificando l’attività dei centri di chirurgia endocrina”.

“La medicina nucleare interviene nelle malattie della tiroide non solo per la diagnosi, ma, soprattutto, per la terapia con iodio radioattivo dell’ipertiroidismo e dei tumori della tiroide, una volta trattati chirurgicamente”, afferma Maria Cristina Marzola, Consigliere Associazione Italiana di Medicina Nucleare, AIMN “Da un’analisi eseguita dal gruppo Giovani di AIMN è emerso che, nel corso della pandemia si è verificata una riduzione di tutte le prestazioni di Medicina Nucleare.  Il 19% circa di questa perdita riguarda prestazioni terapeutiche, nel 50% e più dei casi rappresentate dalla terapia con iodio radioattivo per il carcinoma della tiroide. Questo è dipeso sia dalla riduzione degli interventi chirurgici sulla tiroide, come già sottolineato dal Collega Lombardi, sia dalla possibilità, condivisa anche in ambito internazionale, di posticipare di qualche mese la terapia con iodio radioattivo nei casi di carcinoma differenziato della tiroide a basso rischio. Contestualmente, i Centri di Medicina Nucleare hanno innalzato i livelli di protezione e isolamento dei pazienti per evitare che chi avesse assunto lo iodio radioattivo a scopo terapeutico fosse infettato dal virus”.

“La qualità della relazione e della comunicazione tra medico e paziente è un fattore di grande importanza per indirizzare il percorso diagnostico e terapeutico e anche per il buon esito della cura”, conclude Anna Maria Biancifiori, Presidente Comitato delle Associazioni dei Pazienti Endocrini, CAPE. “I pazienti presentano bisogni di contatto, di relazione e di dialogo anche nelle situazioni più compromesse e i curanti, sotto il pesante carico lavorativo imposto dalla pandemia, non sempre hanno avuto le risorse e il tempo per rispondere a questi bisogni. Indubbiamente, le cure hanno subito un rallentamento a causa della pandemia da Covid-19: molti interventi chirurgici sono stati rimandati, la paura del virus ha dissuaso alcuni pazienti dal recarsi in ospedale per i normali controlli e anche per le terapie. Nel contempo, le liste di attesa si sono notevolmente allungate a causa del carico di lavoro delle strutture ospedaliere. L’attenzione a tutte le patologie, in particolare a quelle oncologiche, deve tornare al centro dell’agenda di Governo, dal momento che gli ultimi dati paventano il rischio che nei prossimi anni la mortalità dei pazienti colpiti da tumore aumenti del 20% circa in conseguenza della pandemia”.

In Italia l’andamento dell’epidemia non consente ancora di organizzare le consuete iniziative locali di prevenzione e informazione. Attività di informazione e sensibilizzazione verranno quindi veicolate attraverso la pagina Facebook dedicata “Settimana Mondiale della Tiroide” e il sito www.settimanamondialedellatiroide.it.

Ufficio StampaHealthCom Consulting