CENTRO PER IL PIEDE DIABETICO: PRESTATE CURE A 15 MILA PAZIENTI .

Si è svolto stamattina, in occasione della Diabetic Foot Awareness Week, l’incontro di presentazione del reparto, aperto nel 2003 e diventato un punto di riferimento regionale e nazionale.

Dalla sua apertura, nel 2003, il Centro per il Piede Diabetico del Policlinico Abano Terme si è preso cura di 15 mila pazienti. Il reparto, l’unico in Italia dotato di posti letto dedicati, eroga oltre 10 mila prestazioni l’anno tra visite e medicazioni ed effettua una media di 800 ricoveri. Sono questi alcuni dei dati evidenziati oggi durante la conferenza stampa svoltasi nella struttura sanitaria veneta in occasione della Diabetic Foot Awareness Week, promossa da D-Foot International (www.d-foot.org) per sensibilizzare la popolazione sull’offerta di servizi disponibili per la cura di questa complicanza della malattia diabetica. La significativa casistica, la presa in carico caratterizzata da un approccio multidisciplinare e la una corposa produzione di letteratura medico-scientifica hanno reso questo centro, nel tempo, un punto di riferimento regionale e nazionale.

Il bilancio dell’attività è stato presentato da Antonio Petruzzi, amministratore delegato del Policlinico Abano Terme, e da Enrico Brocco, direttore del Centro per il Piede Diabetico. All’incontro sono intervenuti anche Manuela Bertaggia, coordinatrice delle associazioni di pazienti diabetici del Veneto e vicepresidente della FAND – Associazione Italiana Diabetici, Maria Marangon, presidente dell’Associazione Diabetici di Chioggia, e Federico Barbierato, sindaco di Abano Terme.

Lo staff

“Il nostro Centro – ha sottolineato Antonio Petruzzi, amministratore delegato del Policlinico – offre un percorso di cure completo e una presa in carico multidisciplinare per il paziente affetto da piede diabetico in grado di trattare i casi più complessi, tanto che da anni rappresenta un punto di riferimento a livello regionale e nazionale. Vanta un’attività che ha consentito di pubblicare studi e articoli sulle più prestigiose riviste scientifiche nazionali e internazionali. Il Centro, inoltre, non ha mai smesso di lavorare neanche nel periodo più difficile della pandemia seguendo i pazienti e offrendo loro senza interruzione tutto il nostro know-how clinico, tecnologico e assistenziale”.

Il Centro nel dettaglio

Il reparto della struttura sanitaria di piazza Cristoforo Colombo è situato al piano terra e occupa l’intera area Blu, con ingresso dal varco 3, in modo da poter assicurare ai pazienti, spesso costretti in sedia a rotelle o in barella, un accesso senza ostacoli. Il Centro è dotato di ambulatori e di una sala operatoria. Inoltre, la sezione di Radiologia Interventistica dispone di due sale angiografiche dove vengono eseguite le rivascolarizzazioni endovascolari. Una delle due sale è ibrida, adatta cioè alle rivascolarizzazioni contemporanee chirurgica ed endovascolare qualora siano necessarie. La dotazione strumentale diagnostica, inoltre, è costituita da un ecografo con sonde vascolari e da due ossimetri transcutanei per misurare la saturazione di ossigeno a livello del piede.

Infine, l’équipe dell’unità operativa è costituita da 6 medici, 2 podologi, 2 responsabili infermieristici e gruppi infermieristici dedicati sia al reparto degenze che all’ambulatorio. Vi lavorano, in particolare, medici diabetologi o internisti con abilità chirurgiche, radiologi interventisti, ortopedici, podologi, infermieri e tecnici ortopedici. Il centro si avvale anche della consulenza di specialisti chirurghi vascolari, radiologi, infettivologi e nefrologi.

  “Quello del Policlinico Abano è un servizio di eccellenza del nostro territorio – ha dichiarato Federico Barbierato, sindaco di Abano Terme -, che evidenzia, numeri alla mano, l’impegno del Policlinico e dei suoi operatori per offrire le migliori cure alle persone affette da piede diabetico. E’ importante metterne in evidenza l’attività e creare sinergie con le istituzioni e le associazioni di riferimento. Un modo, questo, per orientare al meglio chi ne ha bisogno e i care-giver e dare risposte in termini di salute e presa in carico ai più alti livelli”.
Visita angiografia

La patologia

Il diabete è una delle malattie croniche più diffuse nei paesi industrializzati e può causare neuropatia periferica, con perdita di sensibilità al dolore e al calore, e complicanze vascolari agli arti inferiori (arteriopatia diabetica) che, se non curate adeguatamente, nel 15% dei pazienti possono dare origine a ulcere e lesioni della cute a rischio d’infezione. Il paziente deve dunque essere preso in carico precocemente, fin dall’esordio dei primi problemi, in quanto nei casi più gravi si può arrivare anche all’amputazione del piede e della gamba.

“Alla base della patologia – spiega il dottor Brocco – vi è la neuropatia sensitivo-motoria che causa insensibilità della cute dei piedi, alterando così i meccanismi di difesa contro i traumi, e atrofia dei muscoli con il risultato di modificare la forma dei piedi, creando aree di conflitto con il suolo e con le calzature”. Su tali aree solitamente si sviluppano ipercheratosi, che sono meccanismi cutanei di difesa, che, se non vengono rimosse, portano alla lesione della cute.

“L’eventuale presenza di ischemia critica – aggiunge lo specialista -, cioè di una riduzione di afflusso sanguigno causata dall’occlusione di un’arteria, impedisce una rapida guarigione e favorisce l’insorgenza di infezioni. In tal modo, da una lesione si rischia frequentemente di passare alla gangrena, ovvero una necrosi dei tessuti, con conseguenza gravi per il piede e talora per il paziente. Negli anni abbiamo trattato più di 15mila soggetti diabetici e l’analisi degli indicatori di risultato evidenzia che l’arto è stato salvato nel 95% dei casi, una percentuale che ci pone tra i primi centri in Italia”. Da ricordare, inoltre, che nei pazienti amputati, l’aspettativa di vita non supera i 5 anni.

Il fattore “tempo”

Per prevenire le conseguenze più invalidanti, è fondamentale poter valutare le lesioni nella loro fase precoce, in modo da mettere in atto il prima possibile gli interventi di correzione dei fattori di rischio.

La prevenzione primaria mira a rimuovere quelle che sono le condizioni pre-ulcerative prima che si formino lesioni o una volta che, curata una lesione, il paziente torni a deambulare. Ciò avviene nell’Ambulatorio di Podologia in cui vengono ispezionati i piedi, identificate e rimosse ipercheratosi o patologie ungueali, valutata la circolazione mediante esame obiettivo e tecniche strumentali.

“Qualora, invece, il paziente giunga alla nostra attenzione con una lesione o uno stato di patologia più avanzato già in atto – spiega il direttore del Centro -, si agisce procedendo alla diagnosi, all’identificazione delle condizioni patologiche in atto, ad esempio ischemia o infezione, intervenendo con la necessaria sollecitudine se non con urgenza già in ambulatorio con piccoli interventi di drenaggio delle infezioni, in attesa di poter ricoverare il paziente”.

Il ricovero

Nei casi più complessi è necessario il ricovero. Il Centro del Policlinico Abano Terme è l’unico in Italia che dispone di posti letto dedicati, che sono in totale 20. Una volta ricoverato, il paziente, a seconda delle necessità, viene sottoposto a trattamenti vascolari, chirurgici o farmacologici.

Si procede, infatti, con la rivascolarizzazione dell’arto malato qualora venga diagnosticata una situazione di stenosi o occlusione delle arterie. “Il radiologo interventista, mediante l’uso di particolari strumenti endovascolari, agisce all’interno delle arterie, le ripulisce e ripristina il lume arterioso. E’ importante sottolineare che oggigiorno si può, grazie alla disponibilità di strumentazioni all’avanguardia, e si deve cercare di arrivare a riaprire i vasi arteriosi fino al piede”, spiega il dottor Brocco.

La chirurgia si utilizza sia in caso di infezione – si suole dire “il bisturi è il miglior antibiotico” -, quando vi sono lesioni, quando è coinvolto l’osso sottostante, se vi sono deformità del piede e nelle fasi post-acute (chirurgia ricostruttiva).

Sia in fase acuta che in fase di prevenzione primaria e secondaria risulta fondamentale lo scarico delle lesioni, delle sedi di intervento o delle pressioni plantari. Ciò si può ottenere mediante tutori, calzature da medicazione, plantari da fase acuta o calzature predisposte o su misura con ortesi plantari su calco e la collaborazione stretta con il tecnico ortopedico risulta necessaria.

L’accesso al Centro

Il paziente può essere inviato dal diabetologo di fiducia o dal Medico di Medicina Generale o può prenotare tramite Cup. Il paziente, in caso di problemi all’arto, può fare un accesso diretto al Pronto Soccorso grazie a un Fast Track diagnostico-terapeutico che prevede la presa in carico diretta da parte dell’Ambulatorio e l’esecuzione di tutti i controlli del caso oltre che di un eventuale ricovero.

Diabete: dall’impegno di “Health Next Generation” un aiuto per piegare la malattia .

A cent’anni dalla scoperta dell’insulina, molto è stato fatto in termini di ricerca e cura delle persone con diabete, ma molto è ancora da fare per migliorare gli outcome clinici, la prevenzione e la riduzione delle complicanze della malattia. Questi i temi al centro dell’Italian Diabetes Barometer Forum di quest’anno, in vista anche delle opportunità offerte dal Pnrr
 
Organizzato da IBDO Foundation e Intergruppo Parlamentare “Obesità e Diabete”, in collaborazione con Anci Comunicare, l’Università degli Studi di Roma “Tor Vergata” e con il contributo non condizionato di Novo Nordisk nell’ambito del programma Changing Diabetes, l’evento, dal titolo “Diabetes and Health Next Generation”, è occasione di confronto per Istituzioni ed esperti

Ogni 10 minuti una persona con diabete ha un infarto, un ictus o sviluppa un deficit visivo importante, ogni 52 minuti subisce un’amputazione e ogni 4 ore entra in dialisi. A cent’anni dalla scoperta dell’insulina, che ricorre quest’anno, molto è stato fatto in termini di ricerca e cura delle persone con diabete, ma molto è ancora da fare nella sfida contro questa malattia cronica, che colpisce quasi quattro milioni di italiani, per migliorare gli outcome clinici, la prevenzione e la riduzione delle complicanze. Su questi temi, e non solo, si confronteranno oggi pomeriggio esponenti di Istituzioni, società scientifiche ed esperti durante il 14esimo Italian Diabetes Barometer Forum, dal titolo “Diabetes and Health Next Generation”, con esplicito riferimento al principale strumento messo in campo dall’Unione Europea per disegnare il futuro del vecchio continente e affrontare l’impatto economico e sociale della pandemia: il programma Next Generation EU da 750 miliardi di euro. L’evento è organizzato da Italian Barometer Diabetes Observatory Foundation (IBDO Foundation) e Intergruppo Parlamentare “Obesità e Diabete”, in collaborazione con Anci Comunicare, l’Università degli Studi di Roma “Tor Vergata” e con il contributo non condizionato di Novo Nordisk, nell’ambito del programma Changing Diabetes.

“Nell’ultimo anno, la pandemia dovuta al Covid-19 ha colpito duramente chi soffre di malattie croniche, tra cui le persone con diabete, evidenziando da un lato la fragilità del sistema di presa in carico territoriale e la disparità di accesso alle cure nelle diverse regioni, ma dall’altro l’importanza di alcune innovazioni e semplificazioni nell’assistenza alle persone con malattie croniche, che devono essere strutturate e diventare parte integrante del sistema sanitario, non solo in fase emergenziale”, spiega Paolo Sbraccia, Vice Presidente IBDO Foundation.

E proprio a causa di diverse criticità emerse durante la pandemia, come le disparità territoriali nell’erogazione dei servizi, in particolare in termini di prevenzione e assistenza sul territorio, l’inadeguata integrazione tra servizi ospedalieri, servizi territoriali e servizi sociali e i tempi di attesa elevati per l’erogazione di alcune prestazioni, il Governo italiano ha previsto nel Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), che si inserisce all’interno del programma Next Generation EU, specifiche misure e interventi per il rafforzamento del sistema sanitario. Infatti, la sesta missione del Pnrr vede oggi stanziati circa 20 miliardi di euro per intervenire in particolare su due direttrici, in ambito sanità: lo sviluppo di una rete territoriale sempre più vicina alle persone e l’ammodernamento delle dotazioni tecnologiche del sistema sanitario nazionale.

Un sistema di prossimità non sempre adeguato, infatti, ha non solo ridotto la capacità di gestione delle persone che hanno contratto il Covid, ma ha portato a gravi mancanze nell’assistenza delle persone con altre malattie, come diabete, tumori, malattie cardiovascolari. Durante i mesi di emergenza, spesso è venuta meno la prevenzione, l’accesso alle cure e la continuità assistenziale, con conseguenze anche gravi che, protraendosi, potrebbero aggravare la fragilità del sistema, motivo per cui è fondamentale intervenire subito. “Auspichiamo che il Pnrr favorisca un cambio di rotta nelle politiche sanitarie nazionali con l’attribuzione di maggiore attenzione alla necessità di organizzare e potenziare l’assistenza territoriale. Il fatto che i finanziamenti complessivi previsti per la sanità territoriale superino quelli per la sanità ospedaliera, ci fa ben sperare in questo senso”, afferma Gerardo Medea, Responsabile nazionale area prevenzione e metabolica Società Italiana di Medicina Generale e delle Cure Primarie – SIMG.

“Anche noi diabetologi auspichiamo un’adeguata allocazione di risorse per il potenziamento di questo assetto organizzativo, con particolare attenzione all’integrazione tra assistenza sanitaria di base e specialistica, in cui sono fondamentali il riconoscimento del ruolo del medico di medicina generale e quello della rete italiana dei Servizi di diabetologia, ospedalieri e territoriali, un’integrazione che sta alla base del percorso diagnostico terapeutico assistenziale e di un modello di gestione della malattia che si è dimostrato efficace nel ridurre morbilità, ricoveri e contenere la spesa sanitaria complessiva”, aggiunge Paolo Di Bartolo, Presidente Associazione Medici Diabetologi – AMD.

“Un ridisegno strutturale e organizzativo della rete dei servizi, soprattutto nell’ottica di rafforzare l’ambito territoriale di assistenza, è reso necessario dal cambiamento negli anni dei bisogni di salute della popolazione, con una quota crescente di persone anziane e malattie croniche”, spiega Agostino Consoli, Presidente della Società Italiana di Diabetologia – SID. “Un contributo importante può essere dato dall’innovazione tecnologica, in particolare per spostare il fulcro dell’assistenza sanitaria dall’ospedale al territorio, attraverso modelli assistenziali incentrati sul cittadino e facilitando l’accesso alle prestazioni sul territorio nazionale. I servizi resi possibili dalla telemedicina sono fondamentali in tal senso, contribuendo ad assicurare equità nell’accesso alle cure nei territori remoti, un supporto alla gestione delle cronicità e una migliore continuità della cura attraverso il confronto multidisciplinare”, conclude.

“La pandemia ha dato un significativo impulso all’attuazione della telemedicina, evidenziandone i potenziali benefici come complemento alle tradizionali prestazioni assistenziali. Il suo impiego nella assistenza alla persona con diabete dovrà da ora in poi far parte dello standard di cura del diabete attraverso strumenti digitali sempre più versatili e affidabili, anche per garantire la protezione dei dati personali”, dice Francesco Giorgino, Presidente della Società Italiana di Endocrinologia – SIE, che aggiunge “Rispetto ad altri settori, la telemedicina in diabetologia è già molto utilizzata, ma non in maniera organica. Per questo con il Pnrr, oltre all’ammodernamento strutturale, confidiamo avvenga un’armonizzazione dei sistemi utilizzati, quale presupposto alla interoperabilità dei servizi e come requisito per il passaggio da una logica sperimentale a una logica strutturata di utilizzo diffuso dei servizi di telemedicina”.

Per raggiungere gli obiettivi del Pnrr, oltre agli investimenti, sarà necessario rivisitare l’attuale modello di sistema sanitario, per limitare il rischio di una frammentazione delle iniziative progettuali a discapito del risultato complessivo auspicato. Walter Ricciardi, Presidente World Federation of Public Health Association, affronterà questo tema nella sua lettura “Ripensare al modello di sanità”; come ha già spiegato in altre sedi, Ricciardi ipotizza la necessita di ridisegnare la governance del Ssn, con rapporti più equilibrati fra Stato e Regioni. Il ruolo della tecnologia, non per sostituire i medici, ma perché sia un valido aiuto anche per una “umanizzazione” delle cure, sarà invece al centro dell’intervento di Luca Pani, Professore di Farmacologia dell’Università di Modena e Reggio Emilia nella sua lettura “La rivoluzione digitale in medicina”.

“Il diabete come paradigma della cronicità può diventare un modello per riprogettare l’approccio del nostro Sistema Sanitario Nazionale alle malattie croniche non trasmissibili, agendo su nuovi modelli di integrazione territoriale e equo accesso ai servizi sanitari in tutte le regioni, eliminando le diseguaglianze di accesso alle diagnosi, alle cure e ai trattamenti innovativi presenti oggi e che sono stati resi ancora più evidenti dalla pandemia”, afferma Roberto Pella, Presidente Intergruppo parlamentare “Obesità e Diabete” e Vicepresidente vicario ANCI.

“Questa catastrofe globale che abbiamo vissuto con la pandemia, paradossalmente, rappresenta un’opportunità per superare vecchi e nuovi limiti del nostro sistema sanitario. Per farlo, sarà fondamentale guardare al passato per non commettere più gli stessi errori, ma con un occhio al futuro al fine di consegnare un Paese migliore alle generazioni future”, commenta Renato Lauro, Presidente dell’Italian Barometer Diabetes Observatory Foundation. “Il Pnrr è fondamentale per le nuove generazioni. Penso che l’Italia abbia tutte le caratteristiche per sfruttare al meglio i fondi a disposizione e che i giovani e il lavoro debbano essere il centro di questo piano”, aggiunge Orazio Schillaci, Rettore dell’Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”.

“Una sfida che dobbiamo assolutamente vincere, per questo abbiamo deciso di incentrare il Forum di quest’anno sulle possibilità offerte dal Next Generation EU”, conclude Lauro.

Ufficio stampa IBDO
HealthCom Consulting

Diabete di tipo 2. Individuato il meccanismo alla base: le cellule ‘tartaruga’. Lo studio su JCI.

Lo studio, firmato dai ricercatori della Fondazione Policlinico Gemelli Irccs – Università Cattolica, dimostra che solo i pazienti che hanno un’alterazione nella prima fase di secrezione insulinica (pazienti con cellule ‘tartaruga’), vanno incontro alla comparsa di diabete di tipo 2. Chi ha invece cellule produttrici di insulina ‘lepre’, anche dopo l’asportazione di metà pancreas, non diventa diabetico. Questa ricerca ha permesso di individuare un difetto ‘chiave’ per lo sviluppo del diabete di tipo 2, ora pubblicato sul Journal of Clinical Investigation.

Seguire da vicino la traiettoria del diabete di tipo 2, per comprendere quale sia il fattore ‘X’ alla base della sua comparsa, è un filone di ricerca di non poco conto, alla luce dei 700 milioni di persone affette da questa condizione nel mondo. Per questo suscita attenzione uno studio pubblicato su Journal of Clinical Investigation (JCI) realizzato grazie alla collaborazione tra il gruppo del professor Andrea Giaccari, Responsabile del Centro per le Malattie Endocrine e Metaboliche Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS e professore associato di Endocrinologia, Università Cattolica, campus di Roma, e quello del professor Sergio Alfieri, Direttore del Centro Chirurgico del Pancreas della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS e Ordinario di Chirurgia Generale all’Università Cattolica.

La ricerca ha consentito di dimostrare che per lo sviluppo del diabete di tipo 2 è molto più importante una cattiva funzionalità delle cellule beta del pancreas (quelle che producono insulina), che non un’improvvisa riduzione del loro numero, come quella che si determina a seguito di un intervento di rimozione parziale del pancreas (pancreasectomia parziale), che dimezza il patrimonio di cellule beta. E la disfunzione che può determinare la comparsa di diabete è una rallentata secrezione di insulina in risposta all’aumento della glicemia da parte di cellule beta ‘tartaruga’, quella che gli esperti chiamano alterazione della prima fase di secrezione insulinica.
“Nella storia naturale della comparsa del diabete di tipo 2 – spiega in una nota il primo autore, la dottoressa Teresa Mezza, ricercatrice in Endocrinologia, UOC Endocrinologia e Diabetologia del Gemelli diretta dal professor Alfredo Pontecorvi – insulino-resistenza e deficit di secrezione di insulina si modificano continuamente nel tempo, ed è impossibile capire quale delle due variabili sia più importante. Con l’intervento chirurgico modifichiamo sperimentalmente solo una delle due variabili, nello stesso identico modo in tutti i pazienti. Con un intervento di pancreasectomia parziale, in termini di evoluzione della malattia diabetica, è un po’ come fare in due mesi quello che la natura fa nell’arco 20 anni”.

Gli interventi chirurgici stanno insegnando molto sulla genesi del diabete; questo studio dimostra che, anche asportando mezzo pancreas a un paziente che non ha insulino-resistenza (cioè non è sovrappeso/obeso), né deficit di secrezione di insulina, quel soggetto non diventerà diabetico. Ai fini del mantenimento di una buona glicemia dunque, non conta quanto pancreas viene rimosso, ma che quello che resta funzioni bene.

“L’innovatività di questo filone di ricerca – spiega il professor Andrea Giaccari, autore senior dello studio – risiede soprattutto nel non studiare persone che hanno già il diabete, ma persone che sono a rischio di svilupparlo, confrontando dati in vitro e in vivo e cercando di capirne i meccanismi. Questo è possibile solo lavorando in un grande Policlinico come il Gemelli, al fianco di una eccellenza nella chirurgia del pancreas come quella diretta dal professor Alfieri”.

La ricerca pubblicata su JCI ha coinvolto 78 pazienti candidati a intervento di duodeno-pancreasectomia, che sono stati sottoposti a test da carico di glucosio (OGTT) e a clamp iperglicemico, prima e dopo l’intervento per andare a valutare l’effetto ‘acuto’ della riduzione delle cellule beta pancreatiche, sulla comparsa di diabete. L’asportazione parziale del pancreas (duodeno-pancreasectomia) dimezza infatti il ‘corredo’ di cellule beta pancreatiche, produttrici di insulina, che i pazienti hanno a disposizione.

I risultati di questo studio suggeriscono che, a determinare la comparsa di diabete, sarebbe in particolare l’incapacità delle cellule beta di reagire prontamente con la secrezione di insulina all’aumento di glicemia che si verifica dopo un pasto (difetto della prima fase rapida di secrezione insulinica). E dunque, i soggetti portatori di queste cellule beta dai ‘riflessi’ rallentati (cellule ‘tartaruga’) sono quelli più predisposti a diventare diabetici. Una predisposizione questa che si ‘annida’ nelle pieghe del Dna; sono stati infatti individuati almeno dieci geni ‘tartaruga’ in grado di ‘intorpidire’ la secrezione insulinica da parte delle cellule beta.

Un fattore fondamentale per il determinismo del diabete di tipo 2 è dunque l’incapacità delle cellule beta di secernere insulina in maniera veloce; chi ha cellule dai riflessi ‘rapidi’ (cellule ‘lepre’) è protetto dal diabete, chi invece è portatore di cellule beta ‘lente’ (cellule ‘tartaruga’) a rispondere alle variazioni di glicemia, più facilmente andrà incontro al diabete in caso di riduzione del numero delle cellule produttrici di insulina.

E la pandemia di obesità che affligge il mondo è un grande ‘rivelatore’ dei soggetti portatori di queste cellule dai riflessi ‘lenti’, perché l’obesità mette in campo un altro importante fattore di rischio per il diabete di tipo 2, l’insulino-resistenza, cioè l’incapacità di tessuti e organi bersaglio dell’insulina di rispondere ai comandi di questo ormone, per superare la quale le cellule beta devono produrre sempre più insulina.

Fonte

Diabete: riparte l’avventura del Team Novo Nordisk, alla Milano-Sanremo 2021.

La prima squadra al mondo di ciclisti professionisti con diabete partecipa alla sua sesta Classicissima

«Vogliamo continuare a ispirare, educare e incoraggiare le persone con diabete in tutto il mondo, portando il nostro messaggio di speranza, soprattutto nell’anno in cui si celebrano i 100 anni dalla scoperta dell’insulina»

Nell’anno in cui si celebra il centenario della scoperta dell’insulina, il Team Novo Nordisk, prima squadra al mondo di ciclisti professionisti con diabete, torna a gareggiare nella classica di apertura della stagione ciclistica World Tour: la Milano-Sanremo 2021, che dopo l’inedita parentesi agostana dello scorso anno, causa Covid, si svolgerà, come da tradizione, il sabato del fine settimana di inizio primavera.

Nata nel 2012 da un’idea di Phil Southerland, CEO del Team Novo Nordisk, condivisa prontamente dall’azienda danese, la squadra è cresciuta di successo in successo, sulla base di un obiettivo ben preciso: ispirare, educare e incoraggiare le persone con diabete in tutto il mondo. Se, infatti, cento anni fa, era quasi impensabile che un bambino sopravvivesse alla diagnosi di diabete tipo 1, grazie alla scoperta dell’insulina il diabete è diventato una condizione con cui poter convivere, un compagno di viaggio nel percorso della vita. Nonostante l’innovazione medica degli ultimi 100 anni, tuttavia, ancora oggi la diagnosi di diabete tipo 1 ha spesso un impatto drammatico sulla famiglia, sconvolgendone la normalità. Il Team Novo Nordisk, con le storie dei suoi atleti e delle loro imprese sportive vuole dare un messaggio di speranza ai genitori, e a tutte le persone con diabete.

«Partecipare alla Milano-Sanremo è di per sé un’enorme soddisfazione per tutti i ciclisti», spiega Vassili Davidenko, il non dimenticato campione, oggi Senior Vice President of Athletics & General Manager Team Novo Nordisk. «Tornarvi per la sesta volta, soprattutto quest’anno, in concomitanza con la celebrazione dei 100 anni dalla scoperta dell’insulina, è da brividi», aggiunge. E questo, non solo per gli atleti e lo staff del Team, ma anche per gli 8,5 milioni di fan che lo seguono sui canali social -detto per inciso il numero dei follower del Team su Facebook è di quattro volte superiore a quello dell’insieme di tutte le squadre del World Tour – e per tutte le persone che convivono con il diabete: 3,5 milioni solo in Italia e circa 400 milioni in tutto il mondo.

«Agli inizi della nostra avventura – ricorda Phil Southerland – esisteva qualche pregiudizio: qualcuno pensava che i ragazzi del Team non avrebbero mai potuto gareggiare come atleti professionisti. Oggi questi atleti si preparano a partecipare ancora una volta alla Milano-Sanremo, pronti a dare il massimo e a farsi notare.»

Nella formazione 2021 alla Milano-Sanremo, due italiani: Andrea Peron, 32 anni da Camposanpiero, Padova, veterano della squadra e della Classicissima, e il più giovane Umberto Poli, 24 anni da Verona. Entrambi sono stati già autori di epiche fughe, durate centinaia di chilometri, nelle precedenti edizioni della corsa. «Questi ragazzi, e ogni atleta del Team, possono essere d’esempio e ispirazione per tutti, e crediamo possano non solo sensibilizzare e cambiare i pregiudizi riguardo il diabete, ma anche passare un messaggio importante al pubblico della Milano-Sanremo. E oggi più che mai, visto ciò che stiamo vivendo, c’è bisogno di messaggi positivi, che ispirano e motivano ad andare avanti nonostante gli ostacoli che la vita, a volte, ha in serbo», dichiara Massimo Podenzana, Direttore sportivo del Team Novo Nordisk.

«In questi 100 anni Novo Nordisk è stata vicino alle persone con diabete e ai medici, attraverso la ricerca e lo sviluppo di soluzioni terapeutiche innovative, ma anche con il sostegno a iniziative volte a migliorare la qualità di vita della persona con diabete e la percezione generale di questa importate malattia. Vogliamo proseguire, con ancora maggiore impegno, su questa strada per i prossimi 100 anni. Il mio personale “in bocca al lupo” ai ragazzi del Team Novo Nordisk», conclude Drago Vuina, General Manager e Vice President Novo Nordisk Italia.

Alla presentazione del Team Novo Nordisk 2021, questa mattina in videoconferenza, hanno partecipato, e formulato il loro augurio, numerosi rappresentanti delle istituzioni, dello sport e del mondo del diabete: dal Presidente del Coni, Giovanni Malagò, al campione olimpico e Sottosegretario allo sport di Regione Lombardia, Antonio Rossi, all’On. Roberto Pella, Presidente Intergruppo Parlamentare Obesità e Diabete, ai presidenti delle società scientifiche e professionali, delle associazioni pazienti e delle organizzazioni di sportivi e ciclisti con diabete.

Novo Nordisk Italia

Hill+Knowlton Strategies

Diabete: Roche integra il microinfusore Accu-Chek Insight nel nuovo sistema automatizzato per la somministrazione dell’insulina di Diabeloop.

Il microinfusore per insulina Accu-Chek Insight di Roche sarà il primo microinfusore con cartuccia pre-riempita che potrà essere utilizzato in modalità “hybrid closed loop” (sistema ibrido ad ansa chiusa).

Il microinfusore per insulina Accu-Chek Insight, integrato con DBLG1 System di Diabeloop, consentirà alle persone con diabete di migliorare significativamente la gestione della malattia.

Il microinfusore Accu-Chek Insight sarà integrato con DBLG1 System per la somministrazione automatica di insulina (AID) grazie alla partnership con Diabeloop, azienda francese pioniera nell’intelligenza artificiale applicata alla salute.
In questo modo, le persone con diabete avranno la possibilità di utilizzare il microinfusore con cartuccia di insulina pre-riempita con un sistema ibrido ad ansa chiusa e con la possibilità di impostare velocità basali molto basse per soddisfare le loro esigenze.
Con questa integrazione, Roche prosegue la sua “vision” di portare innovazione alle persone con diabete, consentendo loro di provare un vero sollievo e preoccuparsi meno della gestione della malattia.

Accu-Chek Insight, integrato con DBLG1 di Diabeloop, sarà collegato a un sistema di monitoraggio continuo del glucosio e l’algoritmo di autoapprendimento di Diabeloop, disponibile su un dispositivo dedicato. Questo algoritmo analizza i dati in tempo reale e decide se interrompere l’erogazione di insulina, regolare la velocità della basale o persino erogare un bolo di correzione automatica quando necessario.

La gestione del diabete è complessa e personalizzata e il raggiungimento degli obiettivi terapeutici è una sfida continua. L’integrazione del microinfusore per insulina Accu-Chek Insight in un sistema AID, crea nuove opportunità per le persone con diabete al fine di alleviare il peso quotidiano di dover prendere continue decisioni terapeutiche“, ha affermato Marcel Gmuender, Head of Roche Diabetes Care. “Questa collaborazione con Diabeloop, ci consentirà di aiutare le persone con diabete a trarre il massimo dalla quotidianità grazie all’erogazione automatica del loro fabbisogno personale di insulina, giorno e notte. In Roche, crediamo che più la terapia è personalizzata, migliori saranno i risultati”.

Quest’anno, le persone con diabete in Germania, Italia, Spagna, Svizzera e Paesi Bassi potranno utilizzare il microinfusore per insulina Accu-Chek Insight in modalità ibrida ad ansa chiusa. Questo lancio, segna il primo passo di Roche nel campo della somministrazione automatizzata di insulina (AID), diventando una pietra miliare della sua strategia di gestione personalizzata e integrata del diabete (iPDM).

“Insieme a Roche, vogliamo offrire alle persone con diabete una nuova opportunità nella terapia con microinfusore”, ha dichiarato Marc Julien, co-CEO di Diabeloop. “L’integrazione del microinfusore per insulina Accu-Chek Insight con il nostro DBLG1 System, ci consentirà di mettere a disposizione una soluzione per la gestione automatizzata del diabete, sicura e personalizzata alle persone con diabete in tutta Europa”.

I Sistemi ibridi ad ansa chiusa
I sistemi ibridi ad ansa chiusa sono costituiti da un monitoraggio in continuo del glucosio, una pompa per insulina e un algoritmo che analizza le misurazioni glicemiche in tempo reale. Ogni pochi minuti, viene trasmesso un valore glicemico al dispositivo che ospita l’algoritmo che calcola e regola automaticamente l’erogazione dell’insulina. Le dosi di insulina necessarie sono determinate tenendo conto della fisiologia delle persone, della dose giornaliera totale di insulina e delle informazioni sui pasti. I sistemi sono considerati “ibridi”, perché i pazienti devono inserire nell’algoritmo l’orario e la quantità di carboidrati dei pasti e confermare la dose di bolo che l’algoritmo suggerisce per coprire tali pasti. Il sistema automatizzato eroga continuamente l’insulina per mantenere i livelli di glucosio nell’intervallo target. Alcuni sistemi sono anche in grado di erogare automaticamente boli di correzione nel caso si debba riportare i valori di glucosio nell’intervallo target.

HealthCom Consulting

La celiachia può essere innescata da infezioni e alterazioni del microbiota?

Il possibile ruolo di infezioni virali o alterazioni del microbiota intestinale nell’insorgenza della malattia celiaca, in soggetti geneticamente predisposti, è stato ipotizzato da tempo. Una nuova ricerca fa il punto sul rapporto tra microbi e celiachia in base alle conoscenze attuali, derivanti da studi osservazionali che coinvolgono i pazienti celiaci.

I ricercatori hanno valutato 135 studi privilegiando quelli prospettici, che hanno potuto seguire l’evoluzione della malattia in un arco di tempo sufficientemente lungo e gli studi di coorte in cui erano disponibili, oltre ai sintomi riferiti, anche test diagnostici. Il quadro generale che emerge è quello di una possibile connessione tra agenti virali e batterici e lo sviluppo della malattia celiachia, un rapporto che però va studiato con più accuratezza per stabilire se siano le infezioni a innescare la sequenza che porta alla malattia o se sia la celiachia a rendere i soggetti più suscettibili alle infezioni.

Infezioni in gravidanza e nei primi anni di vita.

Le indagini condotte sui registri sanitari di diversi paesi europei (Svezia, Norvegia, Germania) mostrano un’incidenza più alta di celiachia tra i bambini che hanno avuto infezioni neonatali (gastrointestinali o respiratorie) annotate sui registri o segnalate dai genitori, ed anche una frequenza più alta della media di infezioni neonatali tra i soggetti celiaci.

Le infezioni materne durante la gravidanza non hanno invece mostrato una chiara associazione con il rischio di celiachia del bambino.

È possibile che una celiachia non diagnosticata renda più suscettibili a infezioni gastrointestinali, tuttavia, fanno notare gli autori di questa ricerca, la sovrapposizione dei sintomi tra celiachia e infezione gastrointestinale rende difficile stabilire se ci sia una relazione causale.

Fattori microbici specifici

Gli autori di questa nuova ricerca passano in rassegna diversi studi in cui direttamente o indirettamente sono stati raccolti dati sulle possibili associazioni tra alcuni virus o batteri e la celiachia.

Gli studi non sono facilmente comparabili, per quella che gli autori definiscono “una grande diversità nella metodologia e nel design.”

In estrema sintesi sono state riscontrate associazioni tra l’infezione da rotavirus e lo sviluppo della malattia celiaca. Inoltre, è stato verificato che la vaccinazione contro il rotavirus può ridurre il rischio di celiachia. Ci sono poi indizi per altri microbi tra cui Helicobacter pylori (quattro studi su 16), adenovirus (due studi su nove) ed enterovirus (due studi su sei).

Alterazioni del microbiota

Numerosi studi hanno cercato una possibile influenza delle alterazioni del microbiota intestinale sullo sviluppo della malattia celiaca. Tuttavia, la maggior parte di queste ricerche sono state condotte in modo che non è possibile stabilire se l’alterazione del microbiota sia all’origine della celiachia oppure l’inverso.

Sono stati identificati solo due studi caso-controllo prospettici su neonati con predisposizione genetica alla celiachia dei quali sono stati esaminati campioni di feci prima che si sviluppasse la malattia. È stata riscontrata una diversità nella flora batterica a 4 a 6 mesi rispetto ai controlli sani. Un altro studio di coorte non ha trovato associazioni significative tra la composizione del microbiota a 9 e 12 mesi e celiachia a 4 anni. Si tratta comunque di studi con pochi partecipanti (rispettivamente 10 e 9 casi) e con conclusioni divergenti.

Tra le difficoltà che ci sono nello studio delle differenze del microbiota di soggetti sani e celiaci c’è il fatto che le modificazioni della dieta influiscono sulla composizione del microbiota e le eventuali differenze tra celiaci e controlli sani possono essere spiegate dalla dieta invece che dalla malattia stessa.

Il possibile ruolo degli antibiotici

Gli antibiotici sono uno dei maggiori fattori di alterazione della composizione del microbiota intestinale. Gli studi sull’uso degli antibiotici in gravidanza e nella prima infanzia come possibile fattore di rischio per la celiachia hanno dato risultati contrastanti. Come spiegano gli autori la presenza di un’infezione che richiede l’uso di antibiotici può essere un fattore confondente, rendendo difficile stabilire se l’aumento del rischio di celiachia sia da attribuire agli antibiotici o all’infezione. Inoltre se la celiachia non diagnosticata è un fattore favorente le infezioni sarebbe proprio quest’ultima a causare l’uso di antibiotici.

Fonte

Diabete in Italia: trend in continua crescita da Nord a Sud

Negli ultimi venti anni, le persone con diabete in Italia aumentate in tutte le regioni, passando dal 3,8 per cento della popolazione al 5,8 per cento su scala nazionale; i livelli più elevati osservati ancora in Calabria, Sicilia e Campania.

La tendenza fotografata nella quattordicesima edizione dell’Italian Diabetes Barometer Report, realizzato da Italian Barometer Diabetes Observatory (IBDO) Foundation, in collaborazione con Istat e Coresearch.

Il diabete è in continua crescita in tutti i paesi europei. Fra il 2008 e il 2014 il numero di cittadini europei con diabete è cresciuto di 4,6 milioni, ovvero del 28 per cento in sei anni, con una crescita 24 volte maggiore rispetto a quella della popolazione nello stesso periodo.  Questa crescita è evidente anche In Italia, dove Istat stima che dal 2000 al 2019 le persone con diabete siano aumentate di circa il 60 per cento, passando dal 3,8 per cento della popolazione al 5,8 per cento (ovvero oltre 3 milioni e mezzo di persone). Lo documenta la quattordicesima edizione dell’Italian Diabetes Barometer Report, che verrà presentata stasera durante il webinar patrocinato dal Ministero della Salute e dall’Intergruppo Parlamentare Obesità e Diabete “Il Diabete una malattia silente: l’impatto In Italia e nelle Regioni”.

Questo incremento è spiegabile con una pluralità di motivi, tra cui l’invecchiamento della popolazione, la sedentarietà, l’obesità e in generale la scarsa attenzione a stili di vita salutari hanno un notevole impatto. Anche i continui progressi nel contrasto alle malattie croniche, quali le migliorate capacità diagnostiche accompagnate a una diagnosi in età più giovane o la capacità del sistema di cura di allungare la sopravvivenza delle persone con diabete e relative complicanze contribuiscono a questa crescita.

“L’aumento della popolazione con diabete si riscontra in tutte le regioni d’Italia, ma gli incrementi non sono stati omogenei su tutto il territorio. In particolare, rispetto al 2000 le prevalenze standardizzate aumentano maggiormente nelle regioni del Nord e del Centro (escluso il Lazio), che partivano da livelli più bassi. Per il Mezzogiorno fa eccezione la Sicilia che passa dal 4,4 per cento nel 2000 al 6,9 per cento nel 2019. Le differenze regionali si mantengono particolarmente elevate nella popolazione anziana, oltre 15 punti percentuali la distanza tra Bolzano e la Calabria, dove la quota di anziani con diabete supera il 25 percento e il tasso di mortalità per diabete è superiore alla media nazionale”, dice Roberta CrialesiDirigente Servizio Sistema integrato salute, assistenza, previdenza e giustizia, Istat.

Per quanto riguarda la mortalità, si conferma la tendenza a crescere passando dalle aree settentrionali a quelle meridionali del paese, con una certa variabilità in base alle province della stessa regione. Per esempio, in Piemonte i decessi per diabete rappresentano il 2,9 per cento dei decessi totali, una percentuale inferiore alla media nazionale che si attesta al 3,5 per cento, ma nella provincia di Vercelli il dato sale al 4,1 per cento, e in quella di Torino scende al 2,5. Analogamente, in Puglia, la cui media regionale è 4,6 per cento, si passa dal 5,6 di Taranto al 3,6 di Lecce.

“Questi dati indicano come ci sia ancora troppa disparità nell’accesso alle cure e ai trattamenti tra le varie Regioni italiane, ma anche tra le singole province di una stessa regione, finendo per fornire un quadro non accettabile all’interno di un Servizio Sanitario nazionale universalistico”, commenta Domenico Cucinotta, Coordinatore e Editor dell’Italian Diabetes Barometer Report. “Siamo convinti che la raccolta e la condivisione di informazioni, alla base del confronto e dei processi decisionali, possano contribuire a ridurre il peso clinico, sociale ed economico del diabete. Questo report prodotto dall’Italian Barometer Diabetes Observatory (IBDO) Foundation in collaborazione con ISTAT e CORESEARCH illustra una serie di dati e di passaggi chiave che possono contribuire ad affrontare con successo la crescita tumultuosa del diabete tipo 2, anche nel contesto dell’attuale gravissima crisi sanitaria globale e che, al contempo, possono avere un impatto di vasta portata sullo sviluppo complessivo delle malattie croniche”, aggiunge Renato Lauro, Presidente IBDO Foundation.

L’aumento della popolazione con diabete negli ultimi anni ha comportato ovviamente un aumento di spesa per il Sistema Sanitario, ma non per quanto riguarda il costo medio pro-capite. Infatti, secondo i dati dell’osservatorio ARNO diabete, il costo medio annuo nel 2018 (escludendo i costi per dispositivi, come strisce, siringhe, aghi, voce non presente nel 2010) ammonta a 2.735 euro, praticamente uguale a quello del 2010. Analizzando le componenti dei costi, si evidenzia un lieve aumento di quelli per la terapia del diabete (+78 euro) e per le prestazioni ambulatoriali (+94 euro) e un aumento più marcato dei costi per altri farmaci (+224 euro), mentre si sono ridotti in maniera importante i costi per le ospedalizzazioni (-417 euro). “Questi dati suggeriscono come un investimento nell’appropriatezza terapeutica e nell’assistenza specialistica ambulatoriale possano rappresentare la chiave di volta per ridurre gli ingenti costi delle ospedalizzazioni, a loro volta indice di complicanze del diabete. Solo il 9 per cento della spesa riguarda i farmaci antidiabete; il 31 per cento è legato alle terapie per le complicanze e le patologie concomitanti, mentre oltre il 40 per cento è relativo al ricovero ospedaliero”, spiega Antonio Nicolucci, Direttore CORESEARCH.                

Secondo quanto rilevato da uno studio condotto nel 2011 dalla London School of Economics, il costo medio per paziente in Italia risulta marcatamente più basso rispetto a Francia, Gran Bretagna e Germania, dove l’assistenza diabetologica è demandata principalmente alla medicina generale, contrariamente a quanto accade in Italia, dove è invece presente una rete diffusa di strutture specialistiche, in grado di fornire assistenza a oltre il 50 per cento dei pazienti con diabete nel nostro Paese.

“Il modello italiano di cura del diabete è uno dei più efficienti e grandi progressi sono stati fatti negli ultimi anni nella lotta a questa malattia cronica, ma molto ancora si può fare. Per esempio, bisognerebbe implementare i Percorsi Diagnostico Terapeutici Assistenziali (PDTA) sul diabete in modo che risultino semplici, condivisi ed efficaci, e che, soprattutto, facilitino il superamento delle barriere alla intensificazione terapeutica e favoriscano l’interazione della medicina del territorio con la rete specialistica diabetologica, per la quale l’Italia rappresenta un modello a livello internazionale per la presa in carico della persona con diabete”, dice Andrea LenziPresidente di Health City Institute e del Comitato per la biosicurezza e le biotecnologie della Presidenza del consiglio dei ministri.

“In questo anno segnato dalla pandemia è risultato ancora più evidente quanto sia importante avere accesso a dati confrontabili, consolidati e corretti per spiegare fenomeni complessi, in maniera tale da poter prendere decisioni conseguenti. Per questo motivo, l’Intergruppo parlamentare “Obesità e Diabete”, costituito in seno alla XVIII Legislatura quale spazio di dialogo e confronto parlamentare permanente e bipartisan sui temi dell’Obesità e del Diabete, sollecitando le Istituzioni governative a prendersi carico di questa malattia in maniera uniforme ed equa su tutto il territorio nazionale, saluta sempre con grande interesse documenti e analisi come quelle dell’IBDO Report”, afferma Daniela Sbrollini, Co-Presidente Intergruppo parlamentare Obesità e Diabete.

“Dall’analisi effettuata dall’Istat e dell’Istituto Superiore di Sanità è emerso che nella prima fase della pandemia Covid-19, il 16 per cento dei casi di decessi di persone risultate positive riguardava persone con diabete. Per questo motivo, siamo molto soddisfatti di aver avuto un riscontro positivo dal Ministero della Salute, che ha inserito, nel piano vaccinale approvato dalla Conferenza Stato-Regioni lo scorso 9 febbraio, le persone con diabete e obesità, fragili e vulnerabili, tra i gruppi di cittadini da considerare prioritari per la vaccinazione contro il Sars-Cov-2, come richiesto dalle società scientifiche e dal mondo diabetologico”, aggiunge Roberto Pella, Co-Presidente Intergruppo parlamentare Obesità e Diabete.

“Il diabete è una malattia dal quadro morboso complesso, ed è riportato come causa iniziale in circa 23 mila decessi, ma è presente tra le malattie che hanno un ruolo nel determinare il decesso (concausa) in un numero di casi circa 4 volte più elevato (oltre 80 mila decessi). Già prima della diffusione del virus SARS-CoV-2, il diabete aveva un’associazione significativa anche con le malattie infettive e parassitarie: tra coloro che presentano menzione di diabete si rilevava infatti un eccesso del 10 per cento dei decessi”, spiega Gian Carlo Blangiardo, Presidente dell’Istat.

“L’organizzazione sanitaria e i decisori di politiche sanitarie non possono prescindere dalle informazioni epidemiologiche che a livello nazionale derivano da numerose fonti coordinate da istituzioni e società scientifiche, che forniscono aggiornamenti sullo stato attuale di numerosi aspetti correlati al diabete, come il numero di persone affette ma anche la loro qualità di vita, la gestione clinica, l’accesso alle strutture sanitarie, ai dispositivi medici, alle cure domiciliari, alle terapie”, conclude Silvio Brusaferro, Presidente Istituto Superiore di Sanità.

Ufficio stampa IBDO Foundation:
HealthCom Consulting

Diabete e vaccinazione anti-Covid: ecco le ragioni di una scelta necessaria e salva-vita.

Le persone con diabete sono tra le categorie a maggior rischio di esito infausto in caso di infezione da nuovo coronavirus, come dimostrano anche i risultati degli ultimissimi studi, uno inglese e uno francese, appena pubblicati sulla rivista Diabetologia. Il vaccino anti-COVID è dunque per loro un’arma fondamentale. I diabetologi esortano le persone con diabete a vaccinarsi senza indugio

Il COVID è un nemico importante per le persone con diabete. Per questo la Società Italiana di Diabetologia, insieme all’Associazione Medici Diabetologi e alla Società Italiana di Endocrinologia si sono fatte promotrici della richiesta di rendere prioritaria la vaccinazione anti-COVID per le persone con diabete. A ulteriore conferma di quanto il vaccino sia fondamentale per la popolazione diabetica, arrivano i risultati aggiornati dello studio CORONADO, pubblicati oggi su Diabetologia(la rivista della EuropeanAssociation for the Study of Diabetes, EASD) dai professoriBertrand CarioueSamyHadjadj, dell’Università di Nantes (Francia). I dati pubblicati a maggio evidenziavano che il 10% delle persone con diabete e COVID moriva entro la prima settimana di ricovero. La nuova analisi, effettuata su 2.796 partecipanti (arruolati presso 68 centri ospedalieri francesi), evidenzia che un paziente su 5, tra i diabetici ricoverati per COVID, muore entro 28 giorni dal ricovero. Una glicemia elevata al momento del ricovero si associa ad un aumentato rischio di morte.

“La pandemia di Covid-19 – afferma il professor Agostino Consoli, presidente della Società Italiana di Diabetologia (SID) –continua a mietere vittime e le vittime sono certamente molto più numerose tra le persone già affette da altre patologie. Tra queste, purtroppo, vanno sicuramente incluse le persone con diabete. Questo traspare già dai dati dell’Istituto Superiore di Sanità, secondo i quali il diabete mellito è presente nel 30% dei pazienti deceduti per COVID-19, una percentuale significativamente superiore rispetto alla prevalenza della malattia diabetica nella popolazione generale (In Italia, il 6,7 %). E recentissimi studi internazionali non fanno che confermare questo dato drammatico. Un lavoro inglese del dottor Andrew McGovern dell’Università di Exeter, appena pubblicato online su Diabetologia, dimostra che tra i soggetti affetti da COVID -19, il rischio di morte in un individuo di 50 anni con diabete è pari al rischio di morte di un soggetto di 66 anni senza diabete. Lo studio osservazionale francese CORONADO pubblicato oggi su Diabetologia riporta che su una coorte di pazienti diabetici ospedalizzati per Covid-19 ben 1 su 5 va incontro al decesso durante le prime 4 settimane di ricovero. Sono dati drammatici, che sottolineano ancora volta quanto sia fondamentale ed irrinunciabile, per tutti, ma in particolare per le persone con il diabete, prevenire il contagio e proteggersi con il vaccino”.

Al momento le uniche azioni efficaci per la protezione control’infezione da SARS Cov-2 sono il distanziamento sociale e la profilassi vaccinale. “Tutti i dati ad oggi disponibili – conclude Consoli – dimostrano che anche nelle persone con diabete la vaccinazione anti-SARS Cov 2 è efficace e sicura. E’ quindi necessarioche le persone affette da questa condizione si rendano conto di quanto sia fondamentale la protezione offerta dal vaccino e corrano a vaccinarsi appena questo sarà possibile nelle loro sedi. Questo sempre continuando a rispettare scrupolosamente nei comportamenti le norme di sicurezza generali necessarie per limitare la trasmissione del virus”.

Ufficio Stampa SID

Diabete. Nel 70% dei pazienti c’è un rischio molto alto di sviluppare un evento cardiovascolare.

Il dato nella nuova Monografia degli Annali dell’Associazione medici diabetologi che analizza la stratificazione della prevalenza del rischio cardio-vascolare nelle persone con diabete. Il presidente Di Bartolo: “superare l’inerzia terapeutica per intervenire efficacemente sulle fasce a rischio per una migliore gestione della patologia”.

Delle oltre 490 mila persone con diabete monitorate ogni anno nei Centri di diabetologia italiani, il 65% dei soggetti con diabete tipo 1 e più del 78% dei soggetti con diabete tipo 2 sono a rischio molto alto di sviluppare un evento cardio-vascolare. La causa è da ricercarsi in un sottoutilizzo dei farmaci antidiabetici con azione specifica nella prevenzione del rischio cardiovascolare, il cui impiego è raccomandato dalle Linee Guida della Società Europea di Cardiologia (ESC).
 
Il dato è emerso dalla recente Monografia Annali dell’Associazione medici diabetologi (Amd) “Profili assistenziali nei soggetti con DM1 e DM2 in relazione al rischio cardiovascolare”. L’analisi ha evidenziato come solo il 10% dei soggetti con diabete di tipo 2 risulta in trattamento con gli inibitori SGLT2 e solo il 6% con i GLP1-RA. Di contro, il 70% dei pazienti è in trattamento con la metformina, oltre il 20% con un inibitore del DPP-IV e circa il 16% con le sulfaniluree, mostrando una certa resistenza rispetto all’utilizzo delle terapie innovative raccomandate come prima scelta di trattamento per i soggetti esposti a rischio cardiovascolare elevato o molto elevato.
La Monografia ha preso in esame le persone con diabete monitorate ogni anno nei 258 Centri di diabetologia italiani aderenti al database Annali Amd e ha valutato l’assistenza fornita sulla base dei livelli di intensità e appropriatezza farmacologica per il diabete e per i fattori di rischio cardiovascolare e della qualità di cura. L’analisi tiene conto delle Linee Guida ESC-EASD (European Association for the Study of Diabetes), che identificano tre fasce di rischio cardiovascolare – molto elevato, elevato e moderato – sulla base di specifiche caratteristiche, quali malattia aterosclerotica accertata, danno d’organo e fattori di rischio multipli.

“La fotografia scattata dall’analisi Amd evidenzia una non completa traduzione nella pratica clinica di ciò che dimostrano i risultati dei trial di sicurezza cardiovascolare. Solo una esigua percentuale delle persone con diabete a rischio molto elevato di danno cardiovascolare risulta in trattamento con un SGLT2-i (10%) e con un GLP1-RA (6%), classi di farmaci che hanno mostrato i maggiori benefici in termini di riduzione del rischio cardiovascolare” commenta Basilio Pintaudi, Coordinatore del Gruppo di Lavoro Amd Real World Evidence. “Sulla base del “Q Score” in grado di predire l’incidenza successiva di eventi cardiovascolari, l’analisi ha poi valutato la qualità di cura complessiva ed è emerso che ad una qualità di cura più bassa corrisponde un maggiore rischio cardiovascolare – conclude Pintaudi.

“Da oltre 10 anni l’iniziativa Annali Amd fornisce un quadro sui profili assistenziali delle persone con diabete di tipo 1 e 2 e sull’evoluzione della qualità dell’assistenza. Le previsioni ci dicono che le persone con diabete tenderanno ad aumentare e, complice il progressivo invecchiamento della popolazione, aumenterà il numero di pazienti a rischio cardiovascolare più elevato – dice Paolo Di Bartolo, Presidente Amd. “Si tratta di una sfida alla quale il nostro Ssn deve essere in grado di rispondere attraverso soluzioni strategiche costo-efficaci. È auspicabile – conclude – che la diabetologia italiana sia disposta a vincere l’inerzia terapeutica così da mettere in atto una pratica clinica più conforme a quanto le evidenze scientifiche dimostrano in modo non più equivocabile: le nuove terapie sono in grado di cambiare la storia del diabete, aiutando a tenere sotto controllo la malattia e scongiurare gravi complicanze”.

Fonte Quotidiano sanità